La premessa
Ho letto la vita di grandi santi (s. Francesco, S. Teresa d’Avila, S. Ignazio di Loyola) e ho trovato che i momenti decisivi della loro vita e delle loro scelte sono segnati da interventi straordinari e sopra naturali. La vita di Teresa d’Avila, la maestra della mistica, è segnata continuamente dalla presenza e dialoghi con Dio che delineano con assoluta chiarezza il cammino da percorrere (vedi l’autobiografia, Il libro della mia vita). Nella vita di Ignazio, oltre ai due mesi di luglio e agosto del 1521 che costituiscono il cammino della conversione, ci sono due momenti particolarmente importanti: andava lungo il sentiero che conduce a una chiesa di Campagna a Manresa, si siede su un masso vicino al fiume Cardoner e “riceve una grande luce nell’intelletto” e “una chiarezza tanto grade, che tutto gli sembrava nuovo”. L’altra illuminazione l’ha all’arrivo a Roma, nella cappella presso la convergenza tra la via Cassia e la via Claudia. Dirà ai suoi compagni: “Mi sembra che Dio m’abbia inciso nel cuore queste parole: io sarò con voi” e continua: non so cosa accadrà di noi in Roma: forse, saremo crocifissi” (Papasogli, S. Ignazio di Loyola). Alcuni di questi momenti mistici sono programmatici, delineano il cammino da percorrere, altri sono momenti di incoraggiamento per le difficoltà che si presentano. A pensarci bene il vangelo ci invita a essere uomini di preghiera, a vegliare e ad aprire la porta a Signore che bussa, perché possa entrare. E’ di una verità disarmante il pensiero di Rahner: “un cristiano o è un mistico o è nessuno”, proprio lui che dice fin dal 1950 che la Francia è una terra di missione. Oggi la terra di missione si è allargata parecchio in Europa.
Anche in Camillo abbiamo dei momenti mistici che delineano il cammino più importante e lo fortificava nei momenti più difficili della sua missione. L’aspetto da sottolineare è che il cammino è stabilito da Dio, quindi se si è fedeli al progetto si è fedeli a Dio. Naturalmente le opere di Dio hanno una loro logica che difficilmente segue le logiche umane. Possiamo rileggere questi momenti mistici nella vita di Camillo perché sono la miglior lezione per la nostra vita. Gli avvenimenti da riassumere sono alcuni momenti fondanti per la storia dell’Ordine: la conversione, il ruolo della piaga, l’ispirazione a fondare la Compagnia, la locuzione del Crocifisso. Naturalmente non bisogna dimenticare che il progetto si chiarisce camminando, la luce diventa più chiara col tempo, gli avvenimenti sono pienamente compresi a posteriori. La rivelazione è progressiva e si comprende in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze del realizzarsi nella storia.
1 – La conversione
Bisogna ricordare che la conversione di Camillo avviene in un momento particolare: in un uomo di 25 anni, che ha sperimentato la vita militare, che si trova a passare l’inverno in attesa di ripartire e arruolarsi per nuove avventure. E’ nel convento ma non per farsi frate, anzi preferisce patire il freddo dell’inverno a Manfredonia piuttosto che accettare un panno per ripararsi, perché lo vede come una trappola per farlo diventare frate, ma i suoi progetti non sono quelli di Dio. L’occasione è quella di un viaggio a S. Giovanni per portare viveri ai frati di un piccolo convento. La sera dell’arrivo, il guardiano fa un sermoncino al giovane che passerà la notte in agitazione. Il mattino, dopo la messa, riparte col suo giumento per ritornare a Manfredonia. Nella Valle dell’Inferno, dove d’inverno soffia un vento gelido, ripensa la predica di Frate Angelo, ripensa gli anni passati in una vita sciupata e senza meta, si scopre uomo senza senso. Questi pensieri gli fanno come “a pezzettini il cuore” e il tormento è tale che si butta inginocchio e scoppia in pianto, invocando perdono e “tempo di penitenza e lacrime” per lavare la sua vita di “grande peccato”. Non vuole più le cose del mondo ma “vivere solo per Dio”, “per la Sua maggior gloria”. Questo giorno, il 2 febbraio, lo celebrerà sempre come il giorno della sua conversione.
Il vagabondare della vita militare non ha più Il suo fascino. Solo nella vita religiosa potrà dedicarsi completamente a Dio e alla penitenza per i peccati. La vita di Camillo riceve la prima brusca sterzata e, con questa, trova il centro di orientamento che non perderà più: “Dio solo” al centro dei suoi pensieri. Dio e la sua gloria saranno la bussola per tutto il resto della vita. Sarà questa motivazione che lo guiderà in tutte le nuove avversità. Ci saranno dei momenti oscuri in cui non saprà quale decisione prendere, il suo carattere ferreo e la sua personalità di uomo di azione, non sempre (o non ancora) ha le idee chiare. Prenderà anche delle decisioni importanti, che si riveleranno sbagliate, anche in quei momenti avrà come unica intenzione la gloria di Dio. La famosa piaga lo tormenterà per tutta la vita e diventerà uno strumento di grande e continua sofferenza, ma anche di purificazione e di scoperta della propria vocazione. Lui vuole solo una cosa: scoprire e fare la volontà di Dio. Pian piano scoprirà quello che Dio vuole da lui. L’esperienza della propria sofferenza e il contatto della sofferenza dei malati dell’ospedale illuminerà di luce nuova il suo cammino. Esperto di sofferenza diventerà maestro di assistenza. Ogni impegno, ogni sacrificio si può fare per Camillo, pur di lenire le sofferenze e curare le piaghe di chi soffre. La sua vocazione sarà quella di mettere al centro la sofferenza degli altri malati. Studiare il modo di curare l’umanità sofferente nel miglior modo possibile, con l’atteggiamento di una madre per il proprio figlio.
2 – Fondare una Compagnia di uomini pii e perbene e la rivelazione: “è opera mia”.
Mentre Camillo era Maestro di casa all’ospedale di S. Giacomo in Roma, “cresceva ogni giorno più in lui la carità verso l’infermi … e sopra tutto haveva grandissima compassione del loro patir … per conto de’ serventi mercennarij” ( Vm p. 52). Mi pare interessante notare i sentimenti del nuovo Camillo, che dalla vita militare passa alla conversione, e dal convento alla carità e alla compassione per i malati. Questi sono gli atteggiamenti e le virtù fondamentali che caratterizzano il comportamento e la nuova sensibilità di Camillo. Per porre fine all’assistenza disumana occorre “istituire una Compagnia d’homini pij, e da bene” che curino i malati “non per mercede, ma volontariamente e per amore d’Iddio”. Era un bel progetto e subito “decise di esser lui quello c’haveva da dar principio alla detta opera”. Così penso Camillo intorno alla “santissima Assunzione di Maria sempre Vergine” nell’agosto del 1583, ma Dio aveva un disegno più ampio e “stava allargando le capacità del suo intelletto” (Vm, p. 52-53). Camillo aveva qualche incertezza e decise di superare le insicurezze “con orazioni, lacrime, cilitij, discipline, e digiuni … e notti intere con le ginocchia per terra”. Intanto cinque compagni si unirono a lui nella preghiera e nel servizio ai malati. Cominciarono anche le invidie e le calunnie di qualche inserviente escluso dal piccolo gruppo. La tempesta si allarga e arriva ai piani alti dell’organizzazione ospedaliera. Era da poco tempo nata l’idea della Compagnia, si stava appena sviluppando e subito cominciano tante difficoltà che sembravano proprio insuperabili. Finché un giorno, dopo lunghe ore di preghiera, Camillo si addormenta, e il Crocifisso (innanzi al quale si radunava il piccolo gruppo e che Camillo aveva portato in camera, perché gli avversari avevano vandalizzato l’oratorio), gli dice: Non temere pusillanimo camina avanti ch’io ti aiuterò e sarò con teco, e caverò gran frutto da questa prohibizione”. Terminata la visione “si sveglio il più contento e consolato uomo del mondo, con proposito tanto fermo nell’impresa che neanche tutto l’inferno” avrebbe potuto fermarlo. La mattina presto “consolò et confirmò i suoi spauriti compagni”.
Il progetto continuerà in mezzo alle invidie, alle minacce, e i pareri per dissuaderlo arrivarono da molti personaggi e fin dal suo confessore p. Filippo Neri, ma le parole del Crocifisso erano chiare e non ammettevano tentennamenti. Camillo era terribilmente amareggiato e sconsolato in questo mare di difficoltà. Per trovare aiuto si rifugiava nella preghiera, nella penitenza e nei digiuni. Un giorno mentre era in preghiera davanti al suo Crocifisso, avendo distaccato le mani dalla croce “lo consolò, et animò, dicendoli, Di che t’ affliggi ò pusillanimo? seguita l’impresa, ch’io t’aiuterò, essendo questa opera mia, e non tua”.
Faccio una parentesi: questa seconda locuzione non c’è nella prima edizione della Vm, pubblicata a cura di Sannazzaro. ma c’è nella seconda edizione del 1620 e in quella del 1627. Testimoni di questa seconda locuzione sono diversi religiosi che depongono nei diversi processi canonici. Anche Cicatelli, dopo aver parlato della prima locuzione, depone di questa seconda locuzione dicendo: “depongo per averlo sentito dal fratello Loisi Gentio fiamengo” che l’ha sentito dal p. Camillo, di cui era infermiere e religioso molto stimato. La spiegazione plausibile è la seguente: Fratel Gensio (e gli altri testimoni) avevano saputo della visione da Camillo ed erano legati da giuramento di segretezza. Con la morte di Camillo viene meno il giuramento, così può saperlo anche il Cicatelli, che ne parlerà nelle successive edizioni della Vm. Inoltre, qui non interessa fare un esame critico delle esperienze mistiche di Camillo. Quel lavoro è stato fatto da diversi scrittori camilliani e chi è interessato può vedere la ricca bibliografia che riporta Giovanni Terenghi, La croce di Cristo nell’esperienza spirituale di S. Camillo de Lellis, Camillianum. Oppure può avere una idea chiara anche leggendo le note dell’edizione critica della Vm a cura di P. Piero Sannazzaro.
Qui le visioni sono prese per come erano vissute da Camillo, che è il soggetto interessato e testimone. Lui le ha vissute come autentiche realtà spirituali che si imponevano in modo indiscutibile, a cui non poteva opporre resistenza di nessun genere, tanto erano evidenti e incontestabili.
Credo, invece, sia importante e incoraggiante per noi camilliani vedere come la presenza del Signore abbia accompagnato la nascita dell’Ordine perché “è opera Sua”, del Crocifisso. L’importanza della riflessione sull’aspetto mistico nella vita di Camillo, nei riguardi della vita dell’Ordine, ha una importanza fondamentale per la vita dei suoi figli. L’inserirsi direttamente dell’azione di Dio nella vita di Camillo, nella istituzione della Compagnia, non solo è evidente, ma addirittura totalizzante: “è opera mia, non tua”.
Ho trovato interesse rileggere i racconti di Camillo nella Vm e i racconti della mistica Teresa d’Avila nell’autobiografia. Ci sono dei passaggi che sono molto simili: per i momenti di preghiera in cui avvengono, per le tribolazioni che vivono i due santi, per gli effetti che generano e per le parole delle locuzioni molto simili. Vediamo alcuni passi della vita di Teresa. Come premessa voglio riportare tre affermazioni di S. Teresa, di carattere generale sulle apparizioni (i corsivi sono miei):
- “Mi si presentò davanti Cristo … lo vidi con gli occhi dell’anima più chiaramente di come potessi vederlo con quelli del corpo, e la sua immagine mi rimase così impressa che, pur essendo trascorsi da questa visione più di ventisei anni, mi sembra di averla ancora presente”. Libro della mia vita,7, 6).
- “La visione di cui parlo è immaginaria e non ho mai visto né questa né alcun’ altra con gli occhi del corpo, ma con quelli dell’anima”. Vita 28,4.
- Non importa che siano, aperti o chiusi (gli occhi): quando il Signore vuole, si vede anche senza volerlo. Non vi è distrazione che valga, né possibilità di resistere, né diligenza né attenzione sufficienti per opporvisi”. Vita 28,5.
Le apparizioni “si vedono con gli occhi dell’anima”. Le cose di Dio hanno un linguaggio e una capacità comunicativa che non si confonde con le regole umane. Le capacità umane non possono impedire la rivelazione divina. Che l’uomo sia nel sonno o nella veglia non ha importanza di fronte al volere di Dio. La manifestazione del volere di Dio è “ora e per sempre”, lo scorrere del tempo è ininfluente.
Le situazioni che vivono i due santi sono di grande sofferenza per le contrarietà che incontrano nella realizzazione di progetti, che sono ispirati da Dio stesso, per il bene degli uomini. Che siano progetti di Dio è chiaro dalle apparizioni. E’ Dio stesso che rivendica che l’opera è Sua, la persona sarà solo strumento del volere di Dio. L’importanza di questa paternità di Dio è decisiva “ora e per sempre”. Questa realtà ha una dimensione di continuità nel tempo è di importanza fondamentale per tutte le persone coinvolte nella storia. La vitalità dell’impresa da parte di Dio è assicurata, non sempre è garantita la piena collaborazione umana. Questa garanzia di Dio sempre presente è fonte di rinnovata ispirazione e vitalità anche per la libertà e collaborazione umana nella storia futura.
- “Mentre ero in così grande angoscia” – Teresa sente queste parole che le danno un coraggio indomito – “Non aver paura, figlia mia, sono io e non ti abbandonerò, non temere”. Immediatamente sparisce l’angoscia e arriva la serenità e la forza. “Eccomi, grazie a queste sole parole, così tranquilla, piena di forza, di coraggio, di sicurezza, di pace e di luce, che in un istante sentii la mia anima trasformata, e credo che avrei potuto sostenere contro tutti che quelle grazie erano opera di Dio” Vita 25,18.
- In un’altra visione dice: “mi vidi così trasformata, che non avrei temuto di lottare con essi (avversari) corpo a corpo, sembrandomi facile, con quella croce, poterli sgominare tutti.” Vita 25,2.
- Mi è accaduto di trovarmi in grandissime tribolazioni … e di udire il Signore dirmi: “Di che temi? Non sai che io sono onnipotente? Io adempirò quello che ho promesso … rimanendo subito piena di una tale forza che mi sembrava d’essere nuovamente disposta a intraprendere altre opere, per servirlo, anche a prezzo di maggiori travagli e di nuove sofferenze” Vita26,2.
3 – Osservazioni
La lettura della Vita di S. Teresa (1515-1582) mi ricorda le apparizioni a S. Camillo. Anche lui ha dovuto combattere dure battaglie per la fondazione della sua Compagnia. Anche lui ha provato l’angoscia della solitudine e delle incomprensioni da tutte le parti, anche da parte delle persone più importanti per la sua vita spirituale. Quando tutto sembra irrealizzabile e le forze umane si affievolivano, parla il Crocifisso e gli dice: di che hai paura, coraggio, io sono con te, è opera mia, non tua! E subito si sente “il più contento, e consolato uomo del mondo con un proposito tanto fermo di star saldo nella incominciata impresa, che neanche tutto l’inferno” poteva distoglierlo e fermarlo. Forse può sembrare dissueto parlare di Camillo mistico, ma se ci pensiamo era proprio un mistico speciale, “era un misticismo con gli occhi aperti” (Metz), ben aperti sulle miserie umane. Un uomo che non si è voltato dall’altra parte, non ha voltato la faccia alla sofferenza umana, ma si è fermato a prendersi cura dell’uomo perché ha avuto compassione e carità. Proprio questo è il centro della sua visione, che ha lasciato in eredità ai suoi figli. Questo è il carisma dell’Ordine: compassione e carità per la sofferenza umana, per i suoi diritti alla vita alla salute. E’ il cuore della nostra identità: compassione e carità per la sofferenza umana, per i diritti fondamentali negati alla vita umana. Qui troviamo il cuore del carisma camilliano. Qui dobbiamo tornare per attingere vitalità e identità perché siamo le sentinelle della vita.
Camillo ha avuto intuizioni molto concrete per l’assistenza sanitaria, ha umanizzato il mondo dell’assistenza infermieristica, ha avuto una concezione umanistica e olistica del malato, ha portato molto cuore nel modo di prendersi cura dei malati, con la sensibilità di una madre verso il proprio figlio. Questa è la “nuova scuola” di assistenza che non ha barriere, non guarda alla razza o religione, ma vede la sofferenza che rende tutti gli uomini uguali, tutti bisognosi di mani amorose e di intelligenze illuminate che si prendono cura dei malati in ospedale e fuori dell’ospedale. Si accorge dei poveri. Basta rileggere la seconda e la terza parte del libro di M. Vanti, S. Camillo de Lellis, 1929, dove emerge nitida la figura di Camillo infermiere ideale. Tutto questo è stato possibile perché nelle sofferenze dei malati vedeva l’estensione delle sofferenze di Cristo che continuano a soffrire nella storia dell’umanità, questa è la visione mistica ed evangelica: “l’avete fatto a me”. Questa è l’eredità perenne che lascia un mistico che ha saputo vedere lontano. In questa ricca eredità c’è la fonte e il segreto della perennità dell’insegnamento.
Torino Natale 2021
Efisio Locci
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