Solidarietà nella sofferenza e povertà rimandano ad una comune origine: al crocifisso, l’immagine del Dio-uomo agonizzante e spoglio. Alla sua scuola sono cresciuti Francesco e Camillo. La loro stessa opera prende le mosse dalla croce, sotto la cui guida si lascia condurre. Dal crocifisso di S. Damiano il poverello raccolto in preghiera ascolta le parole che diventano un programma di vita: «Va Francesco e ripara la mia casa che come vedi va tutta in rovina». «Da quel momento – commenta il Celano – si fissò nella sua santa la compassione del Crocifisso e…le stimmate gli si impressero profondamente nel cuore»
Come tutte le grandi esperienze della vita di Francesco anche questa vuole essere rappresentata. A lui non basta essere testimone di sé stesso, intende vincolarsi davanti ad una comunità e dare ai suoi sentimenti un risvolto pubblico come quando dà l’addio al padre e sposa madonna povertà o come quando si fa legare una corda al collo e trascinare nudo davanti all’assemblea dei fedeli o morente si fa deporre nudo al suolo. Il suo annuncio non si dà per soddisfatto con la sola parola; a questo affianca il gesto della rappresentazione drammaturgica. Temperamento profondamente lirico non solo vive gli eventi della sua storia ma li celebra come un rito solenne. Il natale, la ricorrenza di Cristo bambino, da lui particolarmente attesa, è festeggiato per la prima volta con la costruzione del presepio, dove compaiono sotto lo sguardo le fasi della nascita e i personaggi che l’accompagnano: la vergine, Giuseppe, gli angeli, i pastori e i magi.
Cosi la passione del Signore, che traduce in rappresentazione scenica davanti al popolo. Francesco punta al cuore, accende la fantasia e trascina con il suo annuncio. Particolarmente la storia del crocifisso deve commuovere, per questo la rinnova creandovi un clima di alta temperatura. Ma se la rappresentazione passa, l’immagine della croce deve scendere nell’anima e rimanervi impressa. Allo scopo Francesco escogita per il suo ordine «un abito di penitenza fatto in forma di croce» per testimoniare – osserva Celano – «il mistero della croce in quanto che, come la sua menti si era rivestita del Signore crocifisso, cosi tutto il suo corpo si rivestiva esteriormente della croce di Cristo».
Qualcosa di analogo a Francesco nella chiesetta di S. Damiano è successo a Camillo nell’ospedale di S. Giacomo a Roma quando il crocifisso, staccando le braccia dalla croce, lo conforta a continuare nella sua missione: «Di che t’affliggi pusillamine? Continua ch’io ti aiuterò, ché questa è opera mia non tua». Il crocifisso entra nella sua vita e non lo lascia più. Camillo vuole nel so abito l’immagine della croce «per dimostrare che questa è religione di Croce… acciò quello che vorranno seguitar il nostro modo di vita si predispongano … a seguitar Gesù Cristo fino alla morte». La vuole di colore rosso cupo «perché più somigliante al vero legno della ss. Croce su la quale mori e stette pendente il Redentore del mondo».
Ogni giorno nelle corsie dell’ospedale o per le vie, dovunque Camillo si trova a contatto con un infermo, s’imbatte con il crocifisso, che diventa per lui il partner quotidiano. Non solo lo pensa e lo invoca ma lo ospita, lo nutre, lo disseta, lo veste. Egli dà sé stesso e nella sua donazione sente d’essere lui stesso il beneficiato. «Questo crocifisso – esclama – mi ha tanto aiutato e consolato: e certo non ho meritato tante grazie che mi ha fatte». A lui riconosce il merito della fondazione dell’istituto. «Nella fondazione di questa pianticella si sarebbe perduto un cuor di leone, nonché un miserabile come sono io, se il crocifisso non mi avesse aiutato e consolato». I segni della croce sono impressi anche nel suo corpo acciaccato: la gamba piagata, i calli ai piedi, i calcoli renali, l’ernia inguinale e lo stomaco affetto da tumore. Nel testamento dichiara il suo abbandono al crocifisso, al quale si rimette come il figlio prodigo si presenta al padre e come il buon ladrone che invoca misericordi.
In Francesco la passione di Cristo si è impressa con i segni delle stimmate. Nel 1224, a due anni dalla morte, il poverello di Assisi si ritira nella Verna, dove rapito nella contemplazione del crocifisso, riceve le ferite della croce. Ora è anche il suo corpo a proclamare il crocifisso. Non ha più bisogno di guardare di fuori e alzare la voce. Lui è diventato un tutt’uno con il Cristo sofferente. «L’amore verace di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine dell’amato». «L’amico di Cristo» è «trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso mediante il martirio della carne, ma mediante l’incendio dello spirito». Nella solitudine della Verna Francesco diventa protagonista d’un esperienza sconcertante, di fronte alla quale si resta spettatori sbigottiti. Ci piace pensare con Bonaventura ad «un incendio indomabile dell’amore per il buon Gesù – erompente – in lui con vampe e fiamme di carità.
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