Il nuovo Istituto per i malati
Compiuta l’opera della Visitazione, riemerge chiara, prorompente in Maria Domenica la sua autentica “vocazione”, ciò per cui si sente davvero chiamata dal Signore: fondare una Congregazione religiosa di Sorelle Oblate Infermiere per servire Cristo nelle membra doloranti dei malati e sofferenti, a tempo pieno e per tutta la vita.
Il 23 gennaio 1829 Maria Domenica dà inizio alla prima comunità delle Sorelle Oblate Infermiere. Povere e con poca salute, ma ricche di zelo e di amore per Cristo, la Fondatrice e le prime sorelle compiono autentici prodigi di carità al capezzale delle inferme e delle morenti, nelle abitazioni povere, dove giacciono sole e abbandonate anche le moribonde.
Maria Domenica e le altre donne che nel frattempo si uniscono a lei, hanno un solo ideale, come specifica nelle sue Regole: «Visitare, assistere e servire il Dio umanato agonizzante nell’orto o spirante sulla croce nelle persone delle inferme povere e moribonde». E tutto ciò «con un cuore tutto avvampante della carità di Cristo».
Maria Domenica insegna, inoltre, alle sue “figlie nello Spirito” che la loro vocazione comporta il dono totale della persona nel «servire il malato anche a rischio della vita». Per questo, nelle Regole, ella chiede alle figlie la disponibilità al martirio: «Serviranno Nostro Signore Gesù Cristo nelle persone delle inferme con generosità e purità d’intenzione, pronte sempre ad esporre la propria vita per amore di Cristo morto sopra una croce per noi».
La testimonianza di evangelica carità della Barbantini e delle sue discepole, induce Monsignor Domenico Stefanelli, Arcivescovo di Lucca, ad approvare – finalmente – le Regole e l’Istituto di Maria Domenica. Ciò avviene il 5 agosto 1841. È nata la Congregazione delle Ministre degli Infermi.
La Vergine Addolorata e San Camillo
Maria Domenica affida alla Vergine Addolorata la protezione e la guida del suo Istituto e la chiama espressamente “Superiora nostra”.
La Madre dei dolori è da lei indicata come l’icona ispiratrice della missione della Congregazione. Come la Madre di Gesù assiste il figlio Crocifisso e ne condivide il dolore lo strazio e l’abbandono, così la Maria Domenica invita le figlie a vivere la “compassione” accanto ai malati e ai sofferenti di ogni tempo.
Maria Domenica fa un altro incontro determinante: quello con San Camillo de Lellis. Conosce il primo camilliano quando la sua Opera sta muovendo i primi passi. È un incontro di fondamentale importanza: il padre Antonio Scalabrini ravvisa nel carisma della Barbantini le singolari somiglianze con quello del proprio fondatore, San Camillo de Lellis. La incoraggia, quindi, e le promette aiuto nelle difficoltà.
Il 23 marzo 1852, Pio IX conferisce all’istituto di Mania Domenica il decretum laudis, il documento pontificio attraverso il quale concede alle Figlie di Maria Domenica il nome di «Ministre degli Infermi» e sancisce ufficialmente la comunione spirituale tra l’Ordine dei religiosi camilliani e la Congregazione di Maria Domenica.
La Fondatrice e le figlie desideravano ardentemente indossare la croce rossa di San Camillo. Tale desiderio, per lungo tempo disatteso, fu esaudito nell’agosto 1855, quando il colera mieteva ancora vittime in tutta la Toscana, e le figlie di Maria Domenica uscirono per la prima volta dalla città di Lucca per andare a curare i colerosi nei lazzaretti delle vicine città, contrassegnate nell’abito dalla croce rossa.
Tutto bene, dunque, tutto facile? Non per Maria Domenica che deve affrontare accuse, maldicenze e forse invidie. C’è una incomprensione fra lei e l’Arcivescovo Giulio Arrigoni, che pure è persona intelligente ed aperta. Deve affrontare perfino un processo. E come al solito troverà riparo nel suo consueto rifugio, l’umiltà.
Gli ultimi anni
Le forze di Maria Domenica vanno poco a poco scemando. Nel 1866 cade gravemente ammalata, ma riesce a superare il male grazie – si dice – all’intercessione di San Camillo de Lellis. Si occupa ancora attivamente della sua congregazione, ma comprende che le forze diminuiscono ogni giorno di più e che la vita sta per lasciarla.
Con questo presentimento, fa in modo di lasciare “tutto in ordine”. Non vuole che le sue figlie si debbano preoccupare per alcunché anche dal punto di vista pratico (Maria Domenica è sempre stata donna “con i piedi per terra”).
In questo periodo la sua preghiera si fa più intensa. Ha qualche grave preoccupazione per il futuro del suo istituto. Sono i tempi in cui l’Italia unita si sta formando ed in cui si alza anche un’ondata anticlericale ed ostile alle congregazioni religiose.
L’avvicinarsi della fine sembra provocare anche un cambiamento nei suoi tratti somatici: il viso si gonfia, ma rimangono intatte la dolcezza dell’espressione e la trasparenza dello sguardo. Sono cambiamenti testimoniati anche dai ritratti fotografici (la fotografia è appena stata inventata) che le vengono scattati.
Maria Domenica è indebolita dalla malattia della quale, però, non si ha una diagnosi precisa, un male che la farà soffrire fino all’ultimo istante e del quale ella dirà: «Questo è il modo in cui devo morire».
Ciò accade a il 22 maggio 1868. Madre Maria Domenica Brun Barbantini lascia l’Istituto piccolo nel numero, ma forte nello spirito e generoso nel servizio ai malati.
Maria Domenica “beata”
Nella sua lunga vita, Maria Domenica aveva cercato unicamente “la volontà di Dio e la sua maggior gloria”. Nel suo cammino di santità aveva assaporato le gioie di tanto amore ed anche l’amarezza della calunnia, che aveva accolto «pregando, perdonando, e amando i suoi persecutori». Aveva dedicato ogni istante del suo tempo e ogni momento delle sue fatiche alla formazione spirituale e carismatica delle Figlie che lo Spirito le aveva affidato.
Il 17 maggio 1995, in piazza San Pietro a Roma, Giovanni Paolo II ha proclamato solennemente “Beata” Maria Domenica Brun Barbantini, indicandola al mondo quale testimone autentica «di un amore evangelico concreto per gli ultimi, gli emarginati, i piagati; un amore fatto di gesti, di attenzione, di cristiana consolazione, di generosa dedizione e di instancabile vicinanza nei confronti degli ammalati e dei sofferenti».
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