Una santa morte
Nel 1909 la Fondatrice compiva cinquant’anni.
Proprio in quell’anno, a circa due anni dalla morte, il Signore le concedeva la gioia desiderata da lungo tempo: l’approvazione ecclesiastica dell’Istituto.
Il Cardinal Vicario, Pietro Respighi, con Decreto del 21 giugno 1909, elevava il Pio conservatorio a Congregazione di diritto diocesano e ne approvava le Costituzioni.
Intanto, Madre Giuseppina Vannini, gracile da giovane, no era stata mai di buona salute. Le sofferenze dell’adolescenza, le delusioni vocazionali della gioventù, il peso della fondazione, la trepidazione e l’amore stesso per le sue figlie, l’avevano consumata.
Il suo cuore era stanco e non batteva più regolarmente. Di ritorno da una visita alle comunità dell’alta Italia, tornò stremata e fu costretta dalla grande debolezza a porsi a letto.
Tutti furono consapevoli che la Madre era giunta a uno stato tale da non poter più assolvere alle sue funzioni direttive. Lei comprese e s’assoggettò facilmente alle amorose cure che le Figlie le prestavano. Mise in pratica facilmente quello che due anni prima aveva scritto in Argentina a Suor Veronica Pini, una delle prime Figlie di San Camillo, e che riporto come “pensiero”: Preghi per me, che ne ho semrpe gran bisogno, specie per poter bene adempire il mio pesante ufficio e affinché ne sia presto liberata, per pensare solamente alla mia anima.
“Come avviene in ogni anima buona – scrive di lei un sacerdote – in quell’ultima infermità risplendettero più che mai le virtù che l’avevano accompagnata in tutta la sua vita religiosa. La pietà verso Dio, la pazienza nei suoi dolori, l’amorevolezza con le suore, la docilità ai confessori, la premura per le altre, la mortificazione per se medesima, la gratitudine per ogni piccolo servizio, l’umiltà dei sentimenti, lo spirito di fede e di amor di Dio, erano cose che si potevano ammirare in lei, direi quasi continuamente”.
Vicina alla fine, ripeteva insieme ai sacerdoti che l’assistevano, atti d’amore e di fiducia in Dio e nella Vergine. La sera precedente alla morte, volle vedere le sue figlie, diede loro dei consigli, le benedisse. Morì serenamente nella casa di Via Giusti 7 a roma, la notte del 23 febbraio 1911 a cinquantadue anni di età.
Un’esistenza donata
Tutta la vita della Vannini è stata un’esistenza donata. E quel che è più, donata in una trasparente serenità nonostante le prove e le sofferenze.
Compresa la volontà di Dio, dopo il colloquio col Padre Tezza, non esita più: si slancia generosamente nell’opera che il Signore le aveva preparata, un’opera non sua – come quella di Camillo – ma di Dio stesso. Lo prova l’espansione della Congregazione delle figlie di San Camillo, che dopo la morte dlela Fondatrice hanno realizzato fondazioni in Germania, Polonia, Portogallo, Spagna, Brasile, Colombia, Perù, Benin, Burkina Faso, India, Filippine, Georgia, Ungheria, Messico e Sri Lanka.
Un’esistenza santificata dal “sì” alla divina volontà. Ella ha saputo trarre dall’abbandono e dalla fiducia in Dio una forza insospettata, per condurre maternamente ma fortemente al porto sicuro la sua Congregazione.
Innamorata del suo divino Sposo, segue le sue figlie una per una, le esorta, talvolta le ammonisce, sempre perché siano fedeli allo Sposo, le incita e le sprona alla santità.
L’amore alla Congregazione lo dimostra con la parola e l’esempio. Raccomanda, prega, insiste, scrive, perché sia semrpe mantenuto il fine dell’istituto, secondo lo spriito e l’esempio di San Camillo de Lellis.
I malati sono per lei i suoi “Padroni e Signori!” e propone e trascina le figlie lanciandole nel mondo con questa spiritualità altamente evangelica. Alla scuola di San Camillo, ha assimilato e compreso cosa significhi persi di fronte al malato nel mondo della sofferenza.
Madre Vannini si fa vera madre, come se ogni malato fosse l’unico figlio infermo, insegnando con una teologia pratica e immediata che “la sofferenza è vinta soltanto dall’amore”.
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