Di Lucia Capuzzi
Progress significativi in Liberia e Sierra Leone dovuti al cambiamento nei comportamenti sociali per quanto riguarda i funerali. Medici senza frontiera: la sfida è far ripartire i sistemi sanitari.
Rallenta, finalmente. Il ritmo del contagio si fa meno incalzante. È ancora presto, però, per decretare la fine della peggior epidemia di ebola nella storia, con oltre 21 mila infettati. Certo, gli ultimi dati delle Nazioni Unite sono incoraggianti. I maggiori progressi riguardano la Liberia, a lungo l’epicentro della malattia: ben 3500 delle oltre 8469 vittime del virus provengono da questo Paese dell’Africa occidentale. Fino al 12 gennaio, però, erano stati segnalati solo dieci nuovi casi.
«Un calo incredibile, l’ha definito David Nabarro, l’inviato speciale Onu per ebola nella regione che, però, ha ribadito: «Ma non dobbiamo abbassare l’allerta». La diminuzione è dovuta – ha aggiunto – ad un significativo cambiamento nei comportamenti sociali. Un fatto cruciale, come già dimostrato dai casi di Mali, Nigeria e Senegal dove l’epidemia è stata stroncata in tempi relativamente brevi. Uno dei principali focolai di trasmissione sono i tradizionali riti di sepoltura, durante i quali uil cadavere viene vegliato per giorni e toccato da parenti e amici. È stato necessario una lunga e capillare azione di sensibilizzazione perché la proibizione legale della pratica diventasse effettiva e si mettesse fine ai “funerali clandestini”. Questo, insieme alla diffusone delle cure, grazie alle cliniche mobili, inizia a produrre effetti. Tanto che il governo stima di poter debellare il virus entro il prossimo mese. Più cauto lo studio appena terminato dalle Università di Georgia e Pennsylvania, secondo cui l’epidemia può essere fermata entro giugno.
Anche in Sierra Leone – conferma Medici senza Frontiera (Msf), che gestisce otto centri di cura nella regione -, c’è stata una riduzione significativa negli ultimi 21 giorni. I 150 nuovi contagiati della scorsa settimana, però, dimostrano che l’emergenza non è finita». In Guinea Conakry, ad esempio, il contagio fluttua. Tra il 4 el’11 gennaio ci sono stati 42 nuovi casi. E molti tra gli infettati non rientravano nelle liste di monitoraggio. Il che significa che vi sono alcune zone del Paese tuttora senza sorveglianza. E, nelle zone rurali, alcuni considerano «untori» gli operatori sanitari. Lo scorso fine settimana, nell’area di Forecariah, ad ovest, due agenti sono stati linciati da una folla inferocita.
L’epidemia, inoltre, ha portato quasi al collasso i già fragili sistemi sanitari dell’Africa occidentale: le risorse per curare le altre malattie sono ai minimi termini. «La sfida è farli ripartire senza abbassare la guardia su ebola, in modo da non vanificare i progressi ottenuti», avverte l’organizzazione.
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