A TUTTI I RELIGIOSI
DELLA PROVINCIA SICULO-NAPOLETANA IN OCCASIONE
DELL’ANNO VOCAZIONALE CAMILLIANO
Carissimi confratelli,
« Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome » (Ef 3,14) e « noi abbiamo creduto all’amore (1Gv 4,16) e, mossi dallo Spirito Santo, abbracciamo il carisma del nostro Ordine e intendiamo vivere unicamente dediti a Dio e a Gesù Cristo misericordioso, servendo gli infermi in castità, povertà e obbedienza » (C 11).
Dalle risonanze colte dal XXIII Capitolo provinciale, dalla mozione approvata all’unanimità sull’indizione di un Anno vocazionale e in occasione della presa di possesso canonica, il 31 maggio scorso, si è deciso di indire un Anno vocazionale, nel senso non di andare a “pescare” vocazioni ma di far rifiorire secondo il Progetto Camilliano la propria vocazione come segno profetico per la Chiesa e testimonianza attraente per i giovani. Avrà inizio con i festeggiamenti di san Camillo, i quali vengono solennemente celebrati secondo le istanze delle Comunità, e terminerà con la festa della Madonna della Salute il 16 novembre 2018.
Dopo aver riletto la lettera del Superiore generale, padre Leocir Pessini, alla Provincia dopo la visita canonica, ha ripreso in chiave camilliana, quanto aveva già indicato san Giovanni Paolo II nell’Esortazione post-sinodale Vita consecrata: « Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi » (VC n.110) e, che papa Francesco ha ripreso con toni efficaci nella Lettera apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, il 28 novembre 2011.
Alla luce di questi preziosi documenti, comprendiamo che la nostra storia è una storia in cui abbiamo fissato lo sguardo negli occhi stessi dell’Amato, Cristo Gesù, per riconoscere il mistero che si attua concretamente appassiona e trasfigura l’amata nell’Amato, perché l’Amore autentico è sempre contemplativo e la nostra contemplazione sta proprio nelle ferite dell’uomo, ferite che ci interpellano, ci chiedano aiuto e la stessa salvezza sta tutto in uno sguardo di tenerezza e di servizio, dove troviamo « la fonte della nostra spiritualità » (C 13).
Siamo chiamati ad essere segno di fraternità stando insieme non a partire da ciò che ci unisce e ci rende uguali, ma mostrando che il Vangelo ci permette di stare insieme, di sopportarci e persino di apprezzarci a partire dalle nostre distanze. Che profezia sarebbe oggi quella che segnalasse la comunione del paradiso terrestre? È invece profezia poter dire che ci è concesso di vivere insieme da differenti.
Siamo chiamati a quel servizio della carità che consiste nel toglierci i calzari di fronte all’unico terreno sacro che esiste, l’uomo, in particolare l’uomo ferito, sofferente, emarginato, colpito e derubato come l’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico. Possiamo dire, con franchezza, sull’esempio del nostro padre Fondatore, sempre in ginocchio davanti a Dio e sempre in ginocchio davanti all’uomo: ecco a cosa siamo chiamati. Non preghiamo per diventare più pii o più Religiosi, ma semplicemente più umani, fratelli in Cristo Gesù e per la grazia dello Spirito, Religiosi che come Camillo sanno chiedere dinanzi al capezzale di un malato in ginocchio, perdono ai “signori e padroni”.
Quello di cui abbiamo bisogno è che questa vita risorga come la fenice, si rivitalizzi sotto l’influsso dello Spirito, perché siamo convinti di una cosa, la nostra vita religiosa è portatrice di vita, di gioia e noi abbiamo futuro solo quando ci lasciamo rinnovare dallo Spirito Santo. Dobbiamo manifestare un volto nuovo ai giovani, più credente, speranzoso, innamorato e non un volto del Venerdì santo, un volto flagellato, pesante e oscuro che guarda al passato con malinconia, ma che guarda al passato con una memoria riconoscente e grata perché tutti noi abbiamo avuto sul nostro cammino un evento, una persona, una “voce” che ci ha attirati e portati nell’Ordine dei Ministri degli Infermi e ad amare la presenza di Cristo nei malati (cfr. C 13) anche con rischio della vita (cfr. C 12).
Usciamo dal nostro buio, ecco perché è il tempo di svegliarci, come ho scritto nell’ultima circolare del 18 maggio 2017 (prot. C46/2017), siamo fatti per la luce perché sappiamo che il nostro destino non è la notte, ma il giorno. Siamo cercatori di Sole e chiediamo: « Sentinella, quanto resta della notte » (Is 21,11).
La sentinella è consapevole che la notte è notte, tuttavia non rimpiange il giorno passato; è protesa in un durevole atteggiamento vigile e, senza illudersi in un immediato passaggio dalle tenebre alla luce, riesce a cogliere le prime luci dell’alba. Noi dobbiamo distinguere “le notti” che il nostro cuore attraversa e le nostre relazioni attraversano, come lei, la sentinella siamo chiamati a vigilare affinché in questi momenti bui sfuggiamo alla tentazione di soluzioni facili e di anticipazioni diplomatiche, a non lasciare che la nostra capacità critica si attenui, ripiegando nostalgicamente sul passato, ma a mantenere la lucidità necessaria per riconoscere i segni dell’aurora.
Solo lo Spirito Santo può consolare e risponderci, come un giorno Cristo staccando le braccia rispose a san Camillo « Di che ti affliggi, o pusillanime! Seguita l’impresa che io ti aiuterò essendo quest’opera mia e non tua ».
Il tempo presente, la stessa vita Religiosa con le sue notti e nubi, sono carichi di ragioni che alimentano la speranza, come il cielo ricamato di stelle lascia intravedere qualcosa nella notte. I marinai guardando le stelle, cercano sempre con insistenza l’Orsa Minore la quale è meno brillante della Maggiore, ma più importante perché è la guida più sicura, quando in mare cercano una riva. Cerchiamo con insistenza l’Orsa Minore che con le sue luci flebili nella notte ci orienta verso l’orizzonte della luce. Queste luci occorre imparare a riconoscerle e chiamarle per nome, esse ci appartengono ma non oscurano il cielo stellato della nostra vocazione.
Abbiamo bisogno di una conversione profonda per lasciare che lo Spirito ci porti rinnovati alla riva, più profetici e uomini dello Spirito; più umani, autentici, coerenti e trasparenza stessa del Vangelo. Così la nostra vita religiosa in cui rimette al centro Cristo Gesù e la sua Parola impara a decentrarsi, ad uscire. Come non elevare il nostro inno di lode dinanzi al fatto che, nonostante le nostre povertà, alcuni bussano alle nostre porte a partire dal fascino che esercit
ano Gesù e la forma di sequela della vita religiosa.
Un segno forte, che sostiene la nostra consacrazione ed alimenta la vita teologale è « l’amicizia con Dio affinché sappiamo essere ministri dell’amore di Cristo verso i malati » (C 13) attraverso la preghiera personale e comunitaria. Quest’amicizia ci proietta all’uscita missionaria, ci forma a condividere con generosità con i più poveri, a porre gesti di accoglienza, di compassione, solidarietà e tenerezza. È consolante ascoltare papa Francesco che non ci chiede di essere grandi mistici o asceti, ma semplicemente più umani, più autentici, più fratelli e padri, più gioiosi, più evangelici… con una forma di vita più coerente e trasparente del Vangelo. Sono convinto che la vera spiritualità e la vera mistica sta qui: essere fratelli, compagni di viaggio con tutto il popolo di Dio, per tutta la vita. La dimensione contemplativa che si esercita nell’azione, secondo le nostre Costituzione e Disposizioni generali, implica ad essere uomini con gli occhi bene aperti e disposti ad andare alle periferie esistenziali, dove si soffre, dove ci sono povertà e necessità. Una vita religiosa così contagia. Infatti, non potrò dimenticare il Delegato del Vietnam, padre Joseph Tran Van Phat, quando affermò al raduno dei Superiori maggiori e Consulta in Burkina Faso dinanzi alla domanda che qualche Confratello pose, sulla promozione vocazionale rispose: « Noi non facciamo promozione vocazionale, i giovani vedono come lavoriamo poi entrano in seminario ». Qui c’è contagio. Allora poniamoci la domanda siamo contagiosi? Da questo dipende in gran parte la fecondità della nostra Provincia. Avvertiamo nel cuore la necessità di dare valere nuovo ai voti religiosi per meglio rispondere ai segni dei tempi, lasciando vedere quello che significa meglio realmente la povertà, la castità e l’obbedienza, compresi come forme di vita che consentano di condividere l’amore nella gratuità e nella comunione dello Spirito.
Abbiamo sete di ricreare la nostra vita comunitaria? Qui dobbiamo fare un salto di qualità, dobbiamo passare da una vita comune a una comunità di vita. Nel nostro cuore, anzi in tutto il nostro essere, sentiamo il desiderio a costruire, nelle nostre Comunità e negli impegni ad intra e ad extra, dinamiche umanizzanti e umanizzatrici? Ricordiamo solo quando lo Spirito Santo sta in mezzo alla Comunità, è allora che la vita della Comunità torna ad essere un ambiente ecologico. Nella Comunità e dalla Comunità i nostri carismi pur essendo molti nascono da un solo Spirito, e adattiamoli alle nuove circostanze, così avrebbe fatto, oggi, san Camillo vivendo quella passione ardente di servire gli infermi in maniera fedele e creativa nella cultura attuale.
Dobbiamo affrontare nuove realtà, bisogni, nuove dipendenze, i nuovi volti della povertà. Eleviamo il nostro sguardo verso il cielo e le mani verso la terra per una possibile partecipazione del nostro carisma con il laicato. Siamo molte volte angustiati dal fatto che siamo pochi, di non reggere il peso delle nostre piccole opere, però possiamo vivere la missione condividendola con altri.
Dopo questa riflessione, dove la nostra vita religiosa si pone allora tra memoria e profezia propongo una preghiera che tutti noi possiamo recitare quando la Comunità si ritrova insieme a pregare.
O Maria,
Madre di Gesù e Madre nostra.
Vergine dalle mani alzate e Salute dei malati, piena di grazia,
Benedetta fra tutte le donne.
Madre della Chiesa e Madre dei Ministri degli Infermi,
noi, umili Tuoi figli, a Te ricorriamo e con Te cantiamo il Magnificat al Dio vivente
per il dono della vita religiosa camilliana,
grazia feconda per la Chiesa e per il mondo intero.
Al Tuo cuore immacolato vogliamo affidare il nostro cammino ecclesiale
in quest’anno vocazionale,
riconoscenti per la Tua speciale
protezione e per la Tua benefica intercessione
nella vita dei Religiosi, delle Comunità e della Provincia Siculo-Napoletana
che il figlio tuo diletto, ci ha chiamato a servire nei poveri e nei malati.
Confessiamo le nostre miserie,
le nostre insufficienze,
le nostre lentezze e le nostre omissioni
nel corrispondere alla chiamata
a farci “servi per amore di Gesù” e a diffondere,
con una testimonianza gioiosa sempre più convincente che la nostra vita di consacrati camilliani è segno di una risposta per Amore.
Tu, la Serva del Dio Altissimo,
Donna che ben conosce i patimenti
dei veri discepoli del Signore,
ottienici una cura nuova nell’amore fraterno,
un ardore nuovo nella preghiera,
un coraggio nuovo nell’annunziare il Vangelo della carità,
uno stupore nuovo nel ricevere e nel far fruttificare i doni e i carismi,
una sapienza nuova nel discernere i segni dei tempi,
un’umiltà nuova nell’attendere agli impegni assunti nella vita religiosa,
una fiamma nuova e viva nel servire gli infermi in maniera gioiosa e fedele,
una perseveranza nuova nell’onorare la Chiesa e l’Ordine dei Ministri degli Infermi,
come si addice a dei figli obbedienti.
A Te, Regina del Cielo e della Terra,
in occasione di quest’Anno vocazionale,
consegniamo la nostra chiamata e le nostre persone
con le Comunità di cui siamo parte,
i nostri giovani e i nostri fratelli anziani,
i Religiosi più bisognosi e i nostri ammalati,
quanti hanno smesso di camminare con noi e quanti si aggiungeranno nel tempo a venire.
Su tutti scenda abbondante
l’effusione dello Spirito Santo
e si compia la volontà perfetta del Padre.
O Madre gloriosa e benedetta,
ricevi questa nostra unanime richiesta,
perché possiamo conservarci
“servi fedeli” di Gesù fino alla morte seguendo l’esempio del nostro amato padre e fondatore san Camillo.
Amen!
Con i sentimenti di grande gioia, vi abbraccio fraternamente e chiedo la vostra benedizione e preghiera.
Il Superiore Provinciale
Padre Rosario Mauriello M.I.
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