Stimati Confratelli ed Amici della Grande Famiglia di San Camillo,
a Bucchianico, patria di San Camillo, in questa settimana, un buon numero di Confratelli si ritrovano insieme per condividere un periodo ad alta incandescenza spirituale! Saranno accompagnati nella riflessione spirituale dal religioso camilliano p. Gianluigi Valtorta.
Il corso di esercizi si concluderà il 6 settembre con la liturgia dell’ingresso in noviziato di tre giovani.
Per coloro di voi, che volessero accompagnare a distanza questa esperienza, condividendo alcuni pensieri di natura spirituale, vi proponiamo degli abstracts delle meditazione di p. Gianluigi.
p. Gianluigi Valtorta (Camilliano)
Bucchianico – 4/6 settembre 2014
INTRODUZIONE
Il predicatore ha scelto tre espressioni dalle quali farsi condurre in queste tre giornate e sulle quali operare un discernimento a partire soprattutto dalle nostre attuali esperienze:
RIPRENDERE IL CAMMINO, RITROVARE IL CORAGGIO, IMPARARE AD OSARE
Il nostro cammino non si è arrestato, ma dopo le numerose e doverose celebrazioni giubilari per i 400 anni della morte del Fondatore, giunge il momento di declinare nel nostro vissuto i cospicui ingredienti che il “celebrare” ci ha nuovamente ripresentato.
RIPRENDERE IL CAMMINO!
Per fare questo, ci vuole coraggio, che è “decisione”, determinazione, fermezza. Anche questo va recuperato, nel senso che, il coraggio, ha già abitato la nostra storia e l’ha resa singolare quando abbiamo accettato di camminare dietro a Gesù (la sequela) e a quel gigante della carità che è il nostro Padre Camillo. Bisogna ritornare lì. Ad una audacia che dovrebbe contraddistinguerci e caratterizzare.
RITROVARE IL CORAGGIO!
E infine, imparare ad osare. Ci aspetta un tirocinio, una iniziazione, un rodaggio, che è quello di farci capaci di “rischiare”. A mettere in gioco quello che siamo, quello che abbiamo, perché la nostra memoria, oltre che ad essere una memoria grata per ciò che abbiamo ricevuto, sia la rappresentazione di ciò che davvero siamo chiamati ad essere. Gente disposta al rischio, capace di azzardare l’impossibile.
IMPARARE AD OSARE!
Sulla scorta di queste istanze e sollecitazioni mi è parso che il tema per questi nostri tre giorni di riflessione e preghiera potesse essere ben raffigurato da un’espressione che troviamo nella Pentecoste: “Come vento impetuoso”. Con tutto quello che essa sa evocare e simboleggiare.
Il punto di riferimento saranno alcuni brani tratti dagli Atti degli Apostoli. Da qui vorremmo trarre stimoli e indicazioni per rendere efficace il nostro percorso. Gli Atti sono il testo “missionario” per eccellenza, ci offrono l’immagine viva della prima comunità cristiana. Ci mettono a confronto con la grazia e la fatica degli inizi, ci mettono in sintonia con il vero protagonista dell’azione ecclesiale: lo Spirito.
L’aver celebrato i 400 anni della morte del nostro fondatore è riproposizione continua di quel “nucleo incandescente” che è il nostro carisma. Un dono, che sprigiona modalità, esperienze, situazioni, con le quali siamo chiamati quotidianamente a confrontarci e in esse rifletterci.
Saranno proposte delle riflessioni su alcuni testi tratti dagli Atti degli Apostoli. Libere riflessioni che vorrebbero avviare un cammino. Un cammino, che vorrebbe portarci lontano dalle nostre abitudini e consuetudini, per aprirci al nuovo, ad una novità di vita. Un “nuovo” che viviamo, respiriamo. Ma un “nuovo” che qualcuno subisce, altri non comprendono. Un “nuovo” che ci è chiesto di interpretare. Una novità simboleggiata per noi, precisamente, da una ripresa di cammino, da un recupero del coraggio e da una capacità di rischio.
Giovedì 4 settembre 2014 PRIMA RIFLESSIONE
Giovedì 4 settembre 2014
“Come vento impetuoso” (At 2, 1-13)
Negli Atti al cap. 19 ci viene riferito un episodio emblematico. A Efeso, Paolo trova alcuni discepoli e domanda loro: “Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?”.
Ed essi gli risposero: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esiste uno Spirito Santo”. La risposta di questi cristiani di Efeso potrebbe essere fatta propria anche da tanta gente, da molti cristiani oggi. Per parecchi altri, poi, il rapporto con lo Spirito Santo non va oltre l’accettazione della sua esistenza. Il brano della Pentecoste si apre con una notazione di tempo: “Mentre stava compiendosi il giorno”. È la sera, quindi. Sta scendendo il buio e gli Apostoli sono ancora lì. Forse non hanno la sensazione di una giornata buona, o di aver vissuto qualcosa di bello. Nulla è accaduto. Ma il meglio deve ancora avvenire. È consolante contemplare lo Spirito che scende a sera, quando forse le speranze cominciano a declinare col calar del sole, quando stanno per subentrare l’oscurità e la paura.
Ci fa bene pensare a uno Spirito che ci viene a trovare a sera, quasi per riscattare una giornata forse di delusioni, di speranze fallite. Lo Spirito è un amico che arriva a sera, quando la solitudine si fa sentire con più forza, quando un’ombra di depressione e di tristezza si allunga portandoci a pensare che la nostra vita se ne sta andando, e che non abbiamo combinato nulla di buono. Ha il colore del fuoco, come i tramonti più belli, e ci insegna a non disperare, a non credere che ormai è troppo tardi, che abbiamo operato e atteso invano. Ci da la forza per affrontare la notte. Vogliamo tentare di raccogliere alcuni segni per dare una fisionomia allo Spirito che ci viene donato, e agli orizzonti che apre la nostro impegno e alla nostra responsabilità.
Le più evidenti sono: il vento, il fuoco, la parola (altre le recupereremo più tardi).
Il “vento” è un simbolo di grande forza evocativa. È misterioso nella sua origine, trascorre penetrando in tutti gli spazi, esprimendo un dinamismo a largo raggio, insofferente di ogni forma di costrizione. Aprirsi all’azione dello Spirito, significa, allora, diventare persone “sorprendenti”, in qualche modo inspiegabili. Che non seguono, cioè, le traiettorie obbligate del buon senso, le strade battute della mediocrità generale, gli itinerari programmati del “così fan tutti”, né i sentieri ben segnati dell’abitudine, della consuetudine e delle ripetizioni. Lo Spirito è libero, come il vento! Imprevedibile e amante di orizzonti lontani.
La vita cristiana, la vita religiosa soprattutto, è fedele allo Spirito nella misura in cui dimostra di essere capace di “sorprendere”. Di stupirsi e meravigliarsi (prima) ed anche capace di stupire e meravigliare. Poi il vento è “inafferrabile”. Sfugge. Non lo si può ingabbiare, amministrare, controllare, governare. Il vento è inarrestabile. Incontenibile. Travolgente. Nella sua azione irresistibile, travolge tutti gli ostacoli, spazza via le paure, scuote i pregiudizi, scrolla le sicurezze, fa piegare le resistenze più accanite. Non è possibile fermare il vento. Il vento ci porta e ci porta dove non vorremmo. Il vento, dunque, è una realtà dinamica, non statica. Non lo si possiede. Si è posseduti da lui. Non si comanda al vento. Ci si mette a sua disposizione. Il vento non lo si spiega. Se ne vedono gli effetti. Al vento non si può imporre una direzione o una misura. È lui che fissa la direzione e stabilisce la misura.
Proviamo a riflettere: accogliere lo Spirito, nella propria vita, significa accogliere il vento. E quindi tutti gli effetti che produce, le caratteristiche che lo qualificano. Quando entra questo vento impetuoso, nel mondo o in una esistenza personale, c’è una sola certezza: niente rimane come prima. Lo Spirito non lascia mai le cose come sono, né le persone. Non lascia niente e nessuno al proprio posto. Ma lo Spirito si presenta anche sotto forma di “fuoco”. Il fuoco svolge essenzialmente una triplice azione: quella di illuminare, scaldare, purificare. Di fare luce, cioè, di generare calore, e di fare pulizia. Poi, il fuoco, tende anche a propagarsi, estendersi. Non riesce a stare nei propri limiti.
Possedere lo Spirito significa (in qualche misura) “maneggiare il fuoco”. Significa diventare persone che non sono innocue, di fronte alle quali non si può restare indifferenti. Persone che lasciano il segno. Un segno, soprattutto, di luce e di calore. Riguardo alla purificazione: il fuoco, per trasformare, deve liberare la materia da tutte le impurità, le scorie, le macchie. Non c’è conversione senza cambiamento, non c’è cambiamento senza purificazione, e non c’è purificazione indolore. Il fuoco “scotta”, “brucia”, “consuma”. Affidarsi al fuoco significa acquistare trasparenza.
L’ultima immagine (che vogliamo raccogliere) è quella della “parola”.
Lo Spirito, vento e fuoco, si converte in annuncio. È forse il caso di osservare come le nostre parole, quando non sono ingannevoli, troppo spesso siano vuote, inespressive, dispersive. Sono solo chiacchere che danzano nel vuoto perché non accese dal fuoco e non portate dal vento. Con lo Spirito, la nostra parola, le nostre parole creano uno stupore di verità e un’emozione di amicizia, perché ciascuno sente che quella “parola”, piena di luce e di amore, è detta proprio a lui, da cuore a cuore, da fratello a fratello. Credo che i segni della Pentecoste ci dicano l’identità caratteristica del cristiano (ma ancor più del religioso), che siamo sempre chiamati a riscoprire: quella della “pericolosità”.
Il vento, il fuoco, la parola sono pericolosi!
Si deve aver paura, non di questi segni (e delle esperienze che le accompagnano) ma di una vita cristiana e religiosa insignificante, che non ha nulla da dire, che non dà fastidio a nessuno.
Timida, irrilevante. Rassicurante invece che inquietante.
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