Fratel Ettore Boschini:
I battiti di un grande cuore
La morte del carissimo fratel Ettore è per tutti noi motivo di dolore, di preghiera e di riflessione.
1. Motivo di dolore, di grande dolore, anzi tutto. E’ il dolore di quanti hanno stimato, aiutato e amato fratel Ettore. E sono davvero tanti, perché lui – in un modo tutto suo, con un fervore semplice, immediato e disarmante e, ancor più, con una fede genuina – ha finito per diventare un “trascinatore”.
E’ il dolore soprattutto di quanti – e sono una folla grande grande! – sono stati stimati, aiutati e amati da fratel Ettore ad uno ad uno, raggiunti ciascuno personalmente È, questo, il dolore di coloro che, ricevendo attenzione e stima nella loro povertà ed emarginazione, si sono sentiti “riscattati”, affermati nella loro “dignità”, esaltati nella loro “nobiltà” umana, riconosciuti nei loro “diritti” sacrosanti. Loro stessi lo possono dire, perché le diverse forme di sofferenza che hanno sconvolto le loro esistenze rendono più lucido e penetrante il loro giudizio: da quest’uomo della carità, da questo fratello camilliano hanno ricevuto il bene più prezioso e raro, il recupero cioè della loro dignità e, per questa via, l’accendersi di una rinnovata fiducia nella vita.
Penso anche al dolore della Comunità religiosa di San Camillo e, più ampiamente, dell’intera Chiesa Ambrosiana. Devo qui ricordare la bellissima e commossa lettera che il cardinale Carlo Maria Martini mi ha inviato da Gerusalemme e con la quale partecipa di tutto cuore al nostro lutto. Lui ha conosciuto fratel Ettore sin dall’ingresso in Diocesi, l’ha incontrato tantissime volte, l’ha consigliato, incoraggiato, aiutato. Scrive: «Ho avuto così modo di ammirare una carità, un disinteresse, uno spirito di sacrificio veramente eroici, che non si tiravano indietro di fronte a nessuna difficoltà». E ancora: «Un religioso così – mi verrebbe voglia di dire “un gigante della carità” – fa onore al Vangelo e alla bontà della nostra gente e merita che le sue azioni e iniziative siano ricordate tra le più significative di questi anni nel campo dell’emarginazione».
Alla nostra Chiesa di Milano, che l’ha accolto da subito con benevolenza e fiducia, fratel Ettore ha offerto una preziosa testimonianza di grande umiltà, di dedizione disinteressata, di coraggio, di fede straordinaria e di continua preghiera, d’illimitata fiducia nella Provvidenza, di singolare amore e devozione alla Madonna, di cui distribuiva la corona del Rosario a tutti.
Penso, non di meno, al dolore di tutta la Città di Milano: una città che ha le sue contraddizioni, come peraltro avviene per tutte le grandi e moderne città, ma che si presenta come estremamente vivace, dinamica e operosa nel volontariato nei riguardi dei poveri, dei deboli, degli anziani, dei malati, dei diseredati e disperati. In questa nostra città, fratel Ettore era diventato una specie di «istituzione della carità verso gli ultimi, verso “gli ultimi degli ultimi”». A lui «tutta la città e soprattutto i più poveri devono moltissimo» (card. Martini). Egli ha fatto scuola. Quante istituzioni e quante persone, in vario modo, hanno accolto la sua lezione di carità e l’hanno seguito e aiutato! Lo spontaneo e ininterrotto afflusso alla sua salma in questi giorni da parte di tante persone d’ogni ceto sociale, d’ogni paese e d’ogni fede, ne è una splendida testimonianza.
2. La morte di fratel Ettore, soprattutto ora in questa celebrazione liturgica, diventa per tutti noi motivo di preghiera. Il nostro dolore non lo vogliamo trattenere dentro di noi. Lo vogliamo trasferire, in un certo senso, nel cuore stesso di Dio. Lo vogliamo rendere preghiera.
Sì, tutti – come ciascuno è capace, con semplicità e fiducia – preghiamo per fratel Ettore. Il Signore che l’ha purificato in continuità, attraverso le tante prove e sofferenze della vita – quelle morali, in particolare – e che ha portato a compimento questa purificazione con la leucemia che ha consumato il fisico di fratel Ettore, ma non la sua volontà e passione di vivere e di vivere per gli altri, il Signore lo accolga ora – misericordioso e benigno – nella pace imperturbabile e nella gioia piena di quel Regno ch’egli riserva ai suoi servi buoni e fedeli. A fratel Ettore, che non si è mai risparmiato nel dare il cibo e la casa a tanti poveri, Dio doni il cibo che non perisce – quello della vita eterna – e doni la sua casa, ossia il suo stesso cuore, come luogo di protezione, di amore e di beatitudine.
Sì, noi vogliamo pregare per fratel Ettore. Ma sentiamo che è soprattutto lui che ora può e vuole pregare per tutti noi, per tutti i poveri e i sofferenti che ha incontrato, per tutti i poveri e i sofferenti che continuano ad abitare le nostre città e i nostri paesi. Lui è nell’intimità gioiosa di Dio, ma il suo cuore ha impressi indelebili i segni del tanto dolore quaggiù incontrato e consolato. Preghi, allora, perché il Signore faccia sentire a tutti i poveri, gli emarginati e sofferenti della vita e a tutti quelli che hanno perso la speranza, che lui, fratel Ettore, non li ha affatto abbandonati e che altri – con il loro impegno di assistenza, di cura e di affetto – continueranno a rivelare il volto di un Dio amico dell’uomo, di un Padre che non dimentica nessuno dei suoi figli.
La nostra preghiera e quella di fratel Ettore sono, per tutti noi, una straordinaria professione di fede nel significato, misterioso sì ma consolante, che per i credenti in Cristo ha la morte. Essa, in realtà, non spezza i legami, non cancella la comunicazione, non spegne il dialogo dei pensieri e degli affetti tra quanti si trovano sulle due diverse sponde dell’unico grande fiume della vita!
3. La morte di fratel Ettore è motivo di riflessione, di riflessione seria e responsabile. In questi giorni più d’uno, riferendosi all’esperienza caritativa e alle molteplici opere di fratel Ettore, ha invocato che la sua eredità non vada dispersa, ma scrupolosamente raccolta e continuata.
Ma, forse, questa è la stessa eredità che, per primo, fratel Ettore ha attinto, a piene mani, dalla Parola di Dio, luce e forza della sua vita, nei suoi gesti grandi e piccoli, noti e sconosciuti. È l’eredità attinta soprattutto dal Vangelo, da quel Vangelo vivente e personale che è Gesù Cristo stesso, Gesù crocifisso che dona tutto se stesso per amore. Oh, quella croce rossa che lui, figlio di san Camillo, con semplicità e fierezza ha sempre voluto mostrare a tutti! Non è forse il segno più eloquente e forte che è lì, soltanto lì, nel Corpo dato e nel Sangue sparso del Signore sulla croce, la sorgente e la forza per una vita di dedizione instancabile e disinteressata ai poveri e agli afflitti, quale è stata la vita di fratel Ettore?
Abbiamo ascoltato le parole dell’evangelista Giovanni: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: il Figlio di Dio ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Giovanni 3, 16). E ancora: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (v. 18). Soprattutto ci ha raggiunto la parola autorevolissima, affascinante e tremenda ad un tempo, di Gesù: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Matteo 16, 25).
Mi pare che la testimonianza di fratel Ettore sia inconfutabile: lui ha creduto a queste parole, e le ha rese “carne della propria carne e sangue del proprio sangue”. Si è fatto “ultimo con gli ultimi”. Non li ha solo “accolti”. Li ha anche “cercati”, cercati per amore e per fede, come immagini vive e palpitanti del Figlio di Dio fattosi uomo e resosi misteriosamente presente in ogni povero e sofferente, in quanti hanno fame e sete, sono forestieri e nudi, malati e carcerati (cfr. Matteo 25, 35ss).
“Padre dei poveri”, così qualche giornale ha definito fratel Ettore. Per la verità, c’è da dire che la Bibbia riferisce questo appellativo solo a Dio, il Pater pauperum per eccellenza. Ma fratel Ettore è stato, con tutta la sua carica di umanità e per un dono grande di Dio e del suo amore, una trasparenza particolarmente luminosa, credibile ed efficace dell’infinita, misericordiosa e compassionevole paternità di Dio.
Ed è a lui, a fratel Ettore, che vogliamo, finalmente, lasciare la parola. L’ha pronunciata in occasione della presentazione di un libro dedicato alla sua opera. È una parola che ha quasi il sapore di un testamento spirituale: una parola che risuona sulle sue labbra, una parola che dice i battiti del suo grande cuore, il cuore di un uomo, di un credente, di un religioso.
«Vorrei convincervi che sono soltanto un pover’uomo. Un uomo che per tutta la vita ha fatto soltanto la volontà di Dio, spesso senza neppure rendersene conto. Dal Signore ho ricevuto grazie straordinarie, ma non posso vantarmi di aver sempre corrisposto perfettamente alle grandi grazie ricevute. Questo lo dico perché nessuno, ripeto nessuno, anche l’ultimo dei miei ospiti, si senta inferiore a me o possa pensare di non poter fare anche lui cose simili a quelle che io, per grazia di Dio e per lo straordinario amore della Madre, ho compiuto…
Se dovessi raccontare della mia salute, vi trovereste a dover credere che in tutta la mia vita per ben pochi giorni ho goduto di totale salute. Posso dirvi che la sofferenza non mi ha mai abbandonato. Ma ho accettato tutto con serenità perché a grandi grazie di Dio fanno sempre da contrappeso grandi croci. Vorrei dire a tutti che con l’aiuto di Dio e con l’amore della Vergine nessuno potrà mancare di compiere il proprio dovere di cristiano. La fede, la speranza e la carità sono le tre virtù che convivono. Nulla è impossibile a Dio, disse l’angelo a Maria al momento dell’Annunciazione. Così capiterà anche a noi, se con la fede nella Vergine diremo sì alle svariate richieste che Dio ci fa ogni giorno. Anche se queste richieste richiedono umiliazioni, fatica, dolore, morte.
Signore, fa risplendere su di noi il tuo volto e saremo salvi».
+ Dionigi Card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Fratel Ettore in un servizio della trasmissione Superflash condotta da Mike Bongiorno
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