Un samaritano dei nostri tempi, che nella scia di s. Camillo de’ Lellis, dedicò buona parte della sua vita a lenire le sofferenze dei bisognosi, soprattutto dei più diseredati e soli, andando perfino a cercarli per dare loro un punto di riferimento, in questa società indifferente.
Fratel Ettore Boschini nacque il 25 marzo 1928 nella frazione di Belvedere del Comune di Roverbella (Mantova), in una famiglia di benestanti agricoltori.
Ma già da quando aveva quattro anni, le condizioni economiche familiari cambiarono; a causa di una grave carestia, il padre fu obbligato a lasciare la tenuta agricola di Belvedere, per trasferire la famiglia nella contrada Malavicina, dove tentò di ricominciare tutto daccapo.
La fanciullezza di Ettore trascorse così in ristrettezze economiche familiari e giunto all’adolescenza dovette lasciare la scuola, per andare a lavorare nei campi e nelle stalle, alle dipendenze di piccoli proprietari terrieri.
Il lavoro era talmente duro per la sua giovane età, che gli procurò i violenti mal di schiena, che praticamente lo tormentarono per tutta la vita.
Giunto ai 24 anni, la vocazione allo stato religioso che avvertiva in sé, si fece più insistente, per cui scelse di entrare nell’Ordine dei Camilliani, venendo accolto il 6 gennaio 1952 e pronunciando i voti temporanei come Fratello, il 2 ottobre del 1953.
L’Ordine dei Ministri degli Infermi, conosciuti popolarmente come Camilliani o Camillini, fu fondato nel 1582 da s. Camillo de’ Lellis (Bucchianico, Chieti, 1550 – Roma, 1614); i membri, sia maschili che femminili (ramo fondato nel XIX secolo), sono dediti all’assistenza e cura degli ammalati, dei feriti in guerra, soprattutto negli ospedali, che grazie a loro, dal XVI secolo furono completamente rinnovati e quindi ogni ammalato poté ricevere le cure necessarie.
Fratel Ettore ebbe come destinazione la Casa camilliana degli Alberoni al Lido di Venezia, dove rimase come fratello operoso e benvoluto, per una ventina di anni.
Nei primi anni Settanta fu destinato a Milano, alla clinica camilliana “San Pio X”, dove mentre lavorava, riuscì a conseguire la licenza media e il diploma d’infermiere professionale.
Nel capoluogo lombardo, scoprì le miserie che si nascondono nella vita metropolitana delle grandi città e iniziò ad aiutare i più bisognosi, appoggiandosi dapprima alla clinica “San Camillo”, e poi dal 1979, con il permesso dei suoi Superiori, accogliendoli e dando loro un punto di riferimento in Via Sammartini.
Desideroso di stare vicino ai più diseredati, barboni, extracomunitari, senza tetto, persone sole senza affetti, prese ad istituire dei “Rifugi”, luoghi ospitali organizzati per soccorrerli al meglio, prima da solo, poi con l’aiuto di volontari, anime sensibili attratte dal suo carisma camilliano.
Il primo “Rifugio” fu appunto quello di Via Sammartini a Milano, un androne sotto i ponti della Stazione Centrale, un luogo molto particolare, con il soffitto che tremava con il passare dei treni e con lo sferragliare dei vagoni che assordava gli ospiti; erano dei disperati che comunque poterono a migliaia trovare negli anni un calore umano, accolti con amore infinito da fratel Ettore Boschini, che li considerava come suoi fratelli con dignità pari a quella di qualsiasi uomo e donna.
L’incontro di tante persone, di estrazione sociale differenti, di poco studio, abbruttite dalle necessità, di età diverse, bisognose di tutto, dal cibo ai servizi igienici, dal letto alla pulizia personale, dal vestiario e biancheria pulita alla necessità di parlare con qualcuno; generava una condizione effervescente e promiscua, che spesso sfociava in discussioni e intolleranze reciproche; in ciò interveniva paziente e umile fratel Ettore a riportare la calma e serenità, giungendo a fare recitare “senza imposizioni”, le preghiere di ringraziamento.
Il “Rifugio” di Milano, fu da lui dedicato agli “Amici del Cuore Immacolato di Maria”; nel tempo seguirono il centro di accoglienza “Casa Betania” a Seveso (MI), il Villaggio delle Misericordie ad Affori – Milano, la Casa “Nostra Signora di Loreto” a Collespaccato di Bucchianico (Chieti), il Villaggio Grosio di Grottaferrata (Roma) e la Comunità di Nazareth a Bogotà in Colombia
Tutti centri di accoglienza, realizzati con l’aiuto della Provvidenza e dei tanti benefattori e volontari, che affascinati dalla sua reale e singolare testimonianza del Vangelo, cercavano di sostenerlo ed aiutarlo, in questa sua missione così difficile di moderno samaritano; la sua opera comunque, oltre a creare ammirazione, suscitò anche purtroppo tante incomprensioni.
Con la sua sdrucita veste talare nera, con la grossa croce rossa sul petto, abito tipico del suo Ordine, percorreva in lungo e in largo Milano, alla ricerca dei bisognosi, specie quelli più vergognosi della loro misera condizione e con umiltà e tenerezza, porgeva la mano del suo aiuto concreto e spirituale, per sollevarli dall’isolamento; portava in tasca le corone del rosario di plastica bianca e ad ogni occasione le distribuiva, invitando ad elevare l’animo nella preghiera, recitando un Ave Maria alla Madonna, della quale era devotissimo.
Non era un religioso chiuso nel suo ambiente caritativo, anzi, con i suoi speciali amici, spesso lo si vedeva in manifestazioni di religiosità esterne, tanto da essere definite di tipo “folcloristico”, come girare per le strade cittadine su una vecchia ‘Uno’ bianca, con sul tetto ben fissata, una statua della Madonna di Fatima, alla ricerca di un fratello più sventurato; come le ore di preghiera trascorse in ginocchio in Piazza del Duomo a Milano, durante la prima Guerra del Golfo; la costruzione all’ingresso di Casa Betania a Seveso, di una cappella di cristallo, come quella costruita a Fatima per le apparizioni della Vergine, della quale diceva: “Senza il suo aiuto, non avrei saputo combinare niente”.
Ai suoi giovani volontari, insegnava il difficile Vangelo della strada, quello che si vive fra i derelitti; i figli più amati da Dio, come fratel Ettore li chiamava; perché egli era convinto che ogni uomo, anche se povero, sporco e malvestito, aveva una sua dignità e doveva essere rispettato; anche il più povero era una creatura del suo Dio e questo stesso Dio vuole mostrare a loro il suo amore per mezzo di noi.
Superò infinite difficoltà, incomprensioni, maltrattamenti e, con il tempo, divenne il simbolo di una vera e difficile solidarietà dei nostri tormentati, consumistici, indifferenti tempi.
Fratel Ettore Boschini, morì il 20 agosto 2004 a 76 anni, nella clinica camilliana “San Pio X” a Milano; in quel fine estate la città rimase scossa per la perdita di quel testimone ‘scomodo’ dell’amore di Dio; in effetti tutti lo conoscevano e qualcuno lo definiva un matto, ma la notizia arrecò ai milanesi un vuoto terribile; fratel Ettore era infatti un uomo, un religioso, difficile da capire in questi tempi di diffuso egoismo, ma necessario ed efficace a far risvegliare le coscienze di quanti lo conoscevano.
Durante i funerali, il Superiore Generale dei Camilliani, padre Frank Monks, disse: “Lui, come diceva san Camillo, aveva capito bene che i poveri non hanno bisogno di una predica sull’amore di Dio, ma piuttosto sperimentare questo amore per mezzo della nostra assistenza, fatta con “più cuore nelle mani”.
La sua salma riposa nella Cappella della “Casa Betania” a Seveso; nella stessa Cappella riposa anche uno dei suoi giovani volontari e collaboratori dei primi anni, prematuramente scomparso a 34 anni, il Servo di Dio Sabatino Jefuniello (Sarno, (Salerno), 19-12-1947 – Milano, 30-8-1982), la cui Causa di Beatificazione, introdotta nel 1996 a Milano per iniziativa dei Padri Camilliani, ha ricevuto il nulla osta della Santa Sede il 14 dicembre 2002.
Antonio Borrelli
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