Vivere insieme
Articolo di Gianni Dalla Rizza, Camilliano in Missione Salute Anno XXXV N.3 Maggio Giugno 2022
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Quella che stiamo per raccontare non è la storia di un bambino disabile che è riuscito a realizzarsi nella vita, ma quanto avviene ogni giorno in un luogo dove vivono assieme bambini normodotati e bambini che ora chiamiamo diversamente abili, sforzandoci inutilmente di inventare nuove parole quando invece, come scriveva una psicologa spagnola: “nessuna parole è offensiva se è pronunciata con amore”.
Il luogo di cui si parla è il Camillian Social Center di Chiangrai, nel nord della Thailandia, dove da 12 anni vengono accolti i bambini delle minoranze etniche. Ora si è arricchito anche della presenza di bambini disabili, che fin dal primo giorno abbiamo voluto chiamare: bambini importanti.
Quando concepii questa realizzazione, l’idea era di mettere insieme bambini normodotati e disabili, in modo che i due gruppi potessero offrire qualcosa gli uni agli altri. In che modo?
Bambini speciali
I normodotati potevano essere indotti ad apprezzare di più i doni che avevano ricevuto: avere un corpo sano e robusto, poter andare a scuola, fare sport, prepararsi al lavoro e alla vita… i bambini disabili invece potevano capire che c’erano amore e attenzioni e che anche loro erano considerati importanti. Mi sbagliavo… almeno per quanto riguarda questo ultimo aspetto. Ho capito infatti che quanto si dona a una bambino disabile, non va donato come fosse una concessione, ma perché è qualcosa che gli spetta di diritto. Ricordo la sensazione di gioia che provai la prima volta che diedi dei giocattoli e delle caramelle a bambini disabili e gli altri (normodotati) andavano a rubargliele e litigavano… lo facevano perché si sentivano alla pari. Andare a imboccarli era un gesto di amicizia non di carità, come avviene in ogni famiglia quando qualcuno ha bisogno. La stessa sensazione di gioia era vissuta nelle feste trascorse assieme, nelle gare di disegno, di canto… dove pure i disabili si sottoponevano, alla pari degli altri, al voto della giuria. Anche il servizio liturgico era diviso tra tutti.
I disabili, che avevano la possibilità, frequentavano la scuola pubblica assieme agli altri: per questo ci eravamo assunto l’onore di stipendiare due maestri. Per quelli che non potevano restare per ore fuori dal Centro, si era organizzata una scuola interna con un programma dettagliato.
“Come dobbiamo comportarci quando i bambini speciali saranno con noi?”. È ciò che i bambini del Centro mi chiesero quando cominciammo a realizzare il progetto. Non avevo risposte alle loro domande e dissi che lo avremmo capito insieme, giorno per giorno, cosa fare e come comportarci. “Però – dissi loro – ci sono due parole che non dobbiamo mai dimenticare perché tutto si realizzi, e queste parole sono: famiglia e amore”.
Rimanemmo in silenzio per un po’, poi una bambina mi sorprese dicendo: “Io penso che dobbiamo avere anche fiducia gli uni verso gli altri. Noi che viviamo in questo Centro possiamo starci perché abbiamo fiducia nell’aiuto di persone lontane che non conosciamo; tanto più questo deve esserci tra noi”. “Certo – risposi parlando anche a me stesso – sarebbe bello che tutti potessimo scoprire il valore della fiducia…”.
E lo scoprii molto presto. Fu la prima volta che accompagnai a casa un bambino con disabilità motoria.
Quelle braccia accoglienti
Alla fine del primo quadrimestre scolastico, tutti i bambini del Centro fanno rientro in famiglia, nei loro villaggi sulla montagna, per un paio di settimane. Alcuni villaggi sono raggiungibili con un fuoristrada, altri sono isolati e obbligano a fermarsi ai piedi della montagna o all’imbocco delle vallate dove i parenti ci attendono per portare, con mezzi diversi (a volte anche solo a piedi), i loro piccoli nelle capanne sperdute.
Nel Villaggio più lontano di Abodò – però ci siamo arrivati: catene alle gomme e fango fino a metà portiere, ma ci siamo arrivati.
Tra i bambini sistemati e stipati nel cassone aperto del fuoristrada c’era anche Suraciai, un piccolo disabile. Il nostro arrivo, come ogni volta, è stato un avvenimento e tutto il villaggio ci si è stretto attorno, cercando visi amici e stringendo mani.
Appena sceso dal fuoristrada ho visto Suraciai, che, senza guarda e a corpo morto si stava lasciando cadere nel vuoto dalla sponda dell’auto. È stato un attimo… atterrito e urlante sono corso per raccoglierlo… l’ho trovato, però sorridente tra le braccia di sua madre.
Aveva ragione quella bambina; dobbiamo sempre avere fiducia e confidare che ci sia un viso amico ad attenderci e delle braccia per accoglierci e proteggerci.
Non è forse il sogno di ognuno quello di rivivere il tempo in cui tutto era semplice perché c’erano delle braccia e delle mani che ci attendevano e raccoglievano nelle difficoltà?
Un “Centro camilliano” sul territorio
Cosi, con gesti piccoli, due gruppi di bambini convivono. Da quell’inizio il Centro dei bimbi disabili si è strutturato a tutti i livelli in modo da essere presente sul territorio e accettare bambini che le famiglie o le istituzioni ci affidano anche per previ periodi. Da parte nostra abbiamo stipulato accordi con altri Centri e Scuole particolari, dove inviare i nostri bambini speciali per la formazione professionale, e inserire i sordomuti nella scuola apposita per apprendere la lingua dei segni.
Il progetto ultimo che desideriamo realizzare è di essere presenti sul territorio come Centro camilliano che, con professionalità, vuole accompagnare i disabili che possono vivere in famiglia e offrire loro, oltre alle attrezzature necessarie, anche l’opera di fisioterapisti, infermieri, psicologi, incoraggiando questi piccoli ad avere fiducia nella vita e nelle persone.
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