In occasione dell’anniversario della nascita della Serva di Dio Maria Aristea Ceccarelli, avvenuta ad Ancona il 5 novembre 1883, condividiamo con voi alcune pagine del libro “Serva di Dio Maria Aristea Ceccarelli. Laica e sposa” di p. Carlo Colafranceschi, edito dalla Provincia Romana Camilliani
Il Signore scherza con le anime e le sa cogliere profumate e sensibili anche da un terreno incolto e arido, anzi ostile, come quello della famiglia dove Aristea è nata.
Il padre, Antonio Ceccarelli, nato a Fossombrone, aveva abbandonato la prima moglie con un figlio; la madre, Nicolina Menghini di Recanati, aveva tentato il suicidio dopo che Antonio essendosene invaghito durante la leva militare, l’aveva abbandonata dopo soli 4 mesi. Riunitosi a lei, potette alfine sposarla in chiesa dopo la morte della prima moglie mentre, nel frattempo, erano già nati dei figli.
La famiglia intanto si era trasferita ad Ancona, in Via Vasari n.3 nel rione degli Archi dove misero su una trattoria.
In questa casa nacque Aristea, il lunedì del 5 novembre 1883. Di sedici figli, fu la dodicesima, la prima dopo undici maschi, ma non fu accolta con grande gioia, per la mentalità maschilista che apprezzava solo il sesso forte, capace di rendere di più per portare avanti le finanze della famiglia.
Una famiglia che ben presto si ridusse, per l’alta mortalità dell0infanzia; sopravvissero solo cinque figlie e in ordine d’età furono: Adolfo, Oddo, Aristea, Elvira e Aristodemo.
Il 9 dicembre, dopo un mese dalla nascita, Aristea fu battezzata dal sacerdote Don Cesare Brunelli nella chiesa del Crocifisso.
L’infanzia della piccola fu poco serena e privata di quell’affetto necessario più dell’ossigeno, di cui i bambini hanno bisogno.
Il padre di Aristea era un ubriacone. I risparmi della trattoria gli servivano soprattutto per bere e giocare a carte. Violento, aveva inferto anche una coltellata alla moglie, che per tacere e nascondere il fatto, rimase claudicante per tutta la vita.
Anche la madre, sempre indaffarata nella trattoria, si disinteressava dell’educazione della figlia che a quaranta giorni fu lasciata in terra e solo dopo nove mesi, aiutandosi da sola, iniziò a fare i primi passi.
I primi anni della sua vita della sua vita si dipanavano nello squallore più tetro di un’ambiente che l’osteggiava e la condizionava. Il padre non l’amava affatto, soprattutto dopo la morte dei due figli maschi che morirono per un’epidemia di angina.
La trattoria, chiudeva a mezzanotte e prima di quell’ora la povera bambina non poteva andare a dormire, perché il suo lettino era stato messo dietro la porta di un andito semibuio accanto alla toilette, dove tutti andavano, familiari ed avventori.
(…)
In questo ambiente crebbe, nel sacrificio e anche nella paura del padre violento, quest’anima di Dio; una paura che in genere aveva per tutti gli uomini e che la condizionò tutta la vita.
Ben presto, nonostante che nessuno le parlasse di Dio e delle verità eterne, la bimba cominciò a sentire delle locuzioni interiori, cioè delle voci interne che la istruivano e che lei poi dichiarò essere la voce dello stesso Gesù.
Cosi cresceva sempre più la cognizione di Dio del quale aveva sentito parlare solo nelle bestemmie e dalle beffe degli avventori della trattoria. Attenta a tutto, aveva colto anche qualche frase comune tra la gente, qualche proverbio religioso, qualche principio di vita cristiana, come ad esempio. “non cade foglia che Dio non voglia”.
Imparò a tacere e a pregare da sola. Cominciò a recarsi nella vicina chiesa del Crocifisso e pregando esponeva tutte le sue necessità a Gesù e alla Madonna, inginocchiata ai piedi della statua.
Una preghiera le venne spontanea senza peraltro comprendere il senso ascetico e profondo: “O Gesù – sussurrava tra le sue labbra e convinta nel cuore – fammi tua sposa bella, fammi bella per Te; ma questo è un segreto! Che nessuno lo sappia!”
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