Luciano Sandrin – “Voci dal Covid19” Verso una nuova prossimità?

Intervento di p. Luciano Sandrin presso il Centro Camilliano di Formazione – Verona in occasione della Giornata della Fraternità post-covid dei Camilliani della Provincia Nord Italiana.

Stiamo ancora uscendo pian piano dall’arca dove ci siamo rifugiati per il diluvio che ci ha colpito. Ancora viviamo varie forme di angoscia[1]. C’è un’angoscia persecutoria, e cioè la paura del contagio, della malattia e dei suoi rischi, che mi fa vivere anche il rapporto col mio amico come un possibile nemico. C’è l’angoscia della perdita del mondo, delle nostre abitudini, della possibilità di vivere insieme come prima e viviamo una specie di lutto collettivo per un mondo che non sarà mai più come prima. I cambiamenti altereranno, poco o tanto, la nostra vita in comune e siamo presi dall’angoscia della convivenza con il virus, col rischio che i più fragili vivano l’angoscia della sopravvivenza e dell’abbandono, e i più forti un senso di impotenza e di morte professionale. Non possiamo ripartire come si riparte “a guerra finita” perché il virus resta un intruso nascosto col quale convivere.

Ma intanto siamo spinti a uscire dall’arca e, come Noè, a piantare la vigna della speranza, a investire sul futuro, anche se non siamo completamente sulla terra asciutta ma in una instabile terra di mezzo[2]. «Quello che è certo – commenta Massimo Recalcati – è che quello che diventeremo non è già stato, non potrà essere quello che siamo già stati». E quello che sarà dipende anche da noi, da come sapremo declinare prossimità e distanza.

Artigiani della prossimità

Parlando agli operatori sanitari di varie regioni d’Italia, papa Francesco ricordava come «nel turbine di un’epidemia con effetti sconvolgenti e inaspettati, la presenza affidabile e generosa» di tanti di loro ha costituito il punto di riferimento sicuro per i malati e per i familiari che non avevano la possibilità di fare visita ai loro cari. «Questi operatori sanitari, sostenuti dalla sollecitudine dei cappellani degli Ospedali, hanno testimoniato la vicinanza di Dio a chi soffre; sono stati silenziosi artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza»[3]. Testimoni di prossimità e di tenerezza anche nelle piccole cose, anche con il telefonino per collegare la persona anziana che stava per morire con il figlio o la figlia, per un e per vederli l’ultima volta: piccoli ma importanti gesti di creatività e di amore. E un mese prima, in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, ricordava che la responsabilità morale che deve guidare la loro professionalità non si riduce alle conoscenze scientifico-tecniche, ma è costantemente illuminata dalla relazione umana e umanizzante con il malato[4].

Il cardinale Matteo Zuppi ci ricorda che tutte le crisi sono state nella storia generatrici di profondi cambiamenti. E pensa che anche questa non si sottrarrà a questo fine. «Per esempio questa storia del digitale, che sta cambiando il lavoro, il tempo libero, le relazioni. Cambierà, anzi sta già cambiando, anche la nostra pastorale. Come un po’ tutti hanno raccontato nella tua inchiesta, i numeri dei contatti on line, di messe o catechesi sono stati molto più alti degli abituali frequentatori delle nostre chiese. Tanta gente nuova, tanti ritorni. Questi mezzi, in sostanza, si sono rivelati un grande strumento di condivisione, che ci ha rivelato un mondo bisognoso di Parola molto più vasto dei nostri confini»[5]. E molti preti se ne sono accorti e stanno imparando ad usarli senza esserne usati. La distanza fisica e l’isolamento, hanno ravvivato il bisogno di comunità, di fraternità e di una prossimità, anche diversa. Abbiamo capito che «la Chiesa sta scoprendo la vita vera della gente», i problemi della vita per dare delle risposte coerenti col Vangelo, perché il Vangelo risponde alla vita vera e concreta delle persone e la cambia. Ma per fare questo «dobbiamo uscire da una logica del pensatoio, del laboratorio. Il vero laboratorio è la vita». Niente di anti-culturale nella sua provocazione. Il cardinale è un uomo che ha una profonda cultura. Vuole solo ricordarci che la riflessione teologica nasce dall’esperienza di una fede vissuta e da questa nascono anche nuove forme pastorali.

Le esperienze legate alla salute e alle varie forme del guarire (curare, prendersi cura, compatire, consolare, confortare) sono luoghi non solo di espressioni teologiche e pastorali storicamente consolidate ma anche “luoghi generativi di riflessioni teologiche e pastorali rinnovate”. Scrive Benedetto XVI nella Deus caritas est: «Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama». L’amore per il prossimo, anche nelle varie espressioni dell’aiutare, del curare e del guarire, è una strada per incontrare Dio, per conoscerlo e poter trovare un linguaggio accreditato per parlare di Lui: «chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio»[6]. Non si può conoscere Dio che è amore se non partendo dall’amore verso le persone che diventano il nostro prossimo nel momento in cui ci lasciamo “prendere dalla compassione” e decidiamo di non passare oltre.

Le esperienze di compassione e di prossimità sono un “luogo di una rinnovata teologia pratica: un’esperienza che ci avvicina alla conoscenza di Dio (teo-logia) “relativizzando”, e cioè ponendo in relazione a Lui, le nostre teologie e per comprendere meglio il nostro essere chiesa.

Scrive Enzo Bianchi: «Nell’emergenza che stiamo ancora vivendo a causa della pandemia di coronavirus è risuonata un’urgenza, una vocazione che molti hanno sentito come universale, senza frontiere e senza possibili fraintendimenti: la com-passione, il soffrire insieme»[7]. In questa situazione di epidemia, spinti dalla compassione, abbiamo conosciuto la nostra capacità di prossimità (anche a distanza) e di assunzione della cura dell’altro. Si tratta ora di tenere viva questa virtù e di esercitarla anche se in forme nuove e diversificate. La compassione non si ferma al sentire. Il sentire e il capire suscitano l’agire. La compassione è una caratteristica importante di una pastorale generativa, capace di creare sempre nuove forme di prossimità, di incontro e di cura. È la compassione delle singole persone, ma anche la compassione di un’intera comunità. Nell’esperienza drammatica della pandemia da coronavirus la compassione porta un po’ di luce sulla situazione che la persona malata sta vivendo, e stimola a trovare la forma di relazione più adatta per rispondere alle domande di cura, di sollievo dal dolore e sostegno delle sue speranze. Anche nuove forme di prossimità pastorale e di compassione pastorale possono svilupparsi dall’esperienza di una prossimità vissuta, anche in questi tempi di covid-19. Ma abbiamo bisogno di ascoltare le voci che vengono da chi, in vari modi, ha vissuto queste esperienza, per un attento discernimento e una riflessione adeguata.

SCARICA QUI IL TESTO COMPLETO 

[1] M. Lucini, Coronavirus Covid-19: Cremona, don Lucini (cappellano positivo al tampone, “Dio è nei gesti d’amore di chi cura rischiando la vita”, intervista al SIR 23.3.2020 – www.agensir.it.

[2] M. Chiodi, Così affronto il male in ospedale, Avvenire.it – venerdì 27.3.2020.

[3] Cfr. G. Cocchi, Prato, il medico che ha pianto distribuendo l’Eucaristia, inAvvenire.it” 15.4.2020.

[1] Cfr. M. Recalcati, La curva dell’angoscia, La Repubblica, 12.4.2020 (rep.repubblicai.it).

[2] Cfr. Gen 9,20.

[3] Papa Francesco, Udienza ai Medici, agli Infermieri e agli Operatori Sanitari dalla Lombardia, 20.06.2020 (il corsivo è mio).

[4] Papa Francesco, Messaggio in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, 12.05.2020.

[5] Cfr. M. Zuppi, Con la mascherina non ci si vede allo specchio, intervista di R. Cetera in “L’Osservatore Romano” -16.6.2020 – www.osservatoreromano.va.

[6] Benedetto XVI, Deus caritas est. Lettera enciclica sull’amore cristiano, 25.12.2005, nn.18;16.

[7] Cfr. E. Bianchi, La virtù della compassione nell’epidemia, in “Jesus”, Maggio 2020, scaricato da monasteropdibose.it. Sul tema della compassione cfr. L. Sandrin, Un cuore attento. Tra misericordia e compassione, Paoline, Milano 2016.