Da Missione Salute N. 1/2020
di p. Angelo Brusco
«Si vive una volta sola». In molte occasioni mi è accaduto di ascoltare o leggere questa espressione, pronunciata o scritta con toni e significati diversi. Anni fa, un amico mi enumerava le molte iniziative da lui intraprese per ricuperare alcune esperienze che non aveva potuto vivere nel passato: cultura fisica, danza, incontri vari… riassumendo le motivazioni che lo portavano ad impegnarsi in quelle attività esclamò: Sai, si vive una volta sola.
Ogni volta che le parole di quell’amico ritornano alla memoria non posso fare a meno di abbandonarmi a qualche riflessione, avvalendomi anche di quanto è stato scritto a questo riguardo nella letteratura sacra e profana. Ultimamente, mentre la mia mente vagava in svariate considerazioni su questo argomento, sono emerse nel mio spirito tre modalità diverse di reagire alla frase: si vive una volta sola. Modalità rappresentate da tre figure: il libertino, l’avaro e la persona autentica.
Mosso dalla convinzione che si vive una volta sola, il libertino vuol fare esperienza di tutto, provare ogni piacere, non negarsi nulla. Lo guida l’etica della quantità. Vi è nella sua spasmodica ricerca della gratificazione immediata, il tentativo vano di sconfiggere la fuga inesorabile del tempo. Tale comportamento lo porta a porre al vertice della sua scala dei valori il piacere immediato, al quale non esita di sacrificare non solo dimensioni della propria persona, ma spesso anche i diritti e la dignità degli altri.
Da parte sua, l’avaro tende a superare l’insicurezza del futuro, accumulando bene e procrastinandone continuamente l’utilizzazione creativa. Pretende, cosi di allontanare il termine dell’esistenza senza godere in modo appropriato ciò che essa offre nel momento presente.
Tanto il libertino quanto l’avaro vivono nell’inautenticità, perché il loro comportamento contrasta con ciò che la persona umana è chiamata ad essere. Basato solo sulla fruizione immediata o l’accumulo dei beni transitori il loro progetto di vita è sterile. Più che utilizzare le loro risorse per costruire, le disperdono.
La persona autentica, consapevole anch’essa che si vive una volta sola, non rinuncia ai piacere della vita ma non li assolutizza, lasciandosi guidare, nel sceglierli, dai valori che promuovono la crescita personale e il rapporto con gli altri. Pensa all’avvenire, ma non accumula beni o risparmi esageratamente energie come se dovesse vivere solo negli anni che verranno.
Riflettendo su queste tre figure che rappresentano diversi e contranti modelli di comportamento, non esito a collocarmi dalla parte della persona autentica. Lo confermano le mie scelte di vita alle quali ho cercato di essere fedele. Questo non significa che non abbia avuto, e ancora non abbia, a che fare con tratti più o meno accentuati, tipici del libertino dell’avaro. Me ne rendo conto quando esito a canalizzare tutte le mie energie affettive a servizio del progetto del progetto di vita che ho abbracciato, disperdendole in tanti piccoli investimenti che privano d’intensità il mio slancio, oppure quando, come l’avaro, trattengo inutilmente risorse fisiche e intellettuali per paura di “rovinare” la salute psico-fisica o di disturbare la routine dei miei programmi. Alla base di tali atteggiamenti c’è spesso la paura che la donazione completa al progetto a cui mi sono consacrato mi impedisca di vivere “pienamente” la vita.
Quando mi rendo conto dell’insinuarsi di queste tendenze negative, rituonano fortemente nel mio spirito le parole di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita la perde; ma chi perde la propria vita per amore mio, la ritrova» (Mt 16,25-26). Parole che indicano quanto è richiesto dalla legge dell’amore autentico. Se da una parte essa domanda alla persona di perdere qualcosa, donandosi e quindi rinunciando a pur legittimi beni, dall’altra essa le consente di trovare o ritrovare ciò che veramente conta per la crescita umana e spirituale. Proprio perché si vive una vita sola, non vale forse la pensa seguire la legge dell’amore?
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