Tratto da Il servo di Dio Fratel Ettore Boschini. Un gigante di carità, di Antonio Casera, edizioni Velar
Mentre svolge il suo faticoso lavoro nelle varie malghe di Brentonico (Trento), Ettore si imbatte in un frate. Il religioso indossa una veste nera e ha una grande croce rossa scarlatta sul petto. È un camilliano, il primo che Ettore abbia mai visto. Quel camilliano si chiama fratel Guido Cose, viene da San Giuliano di Verona e percorre le malghe alla ricerca di burro e formaggio per il seminario.
È la prima volta in cui Ettore vede un camilliano e quella grande croce rossa sul petto, rossa come il sangue di Cristo, come la passione per la fede, come il fuoco della fiducia in Dio… quella croce rossa lo colpisce gli entra negli occhi e scende nel suo cuore.
Ettore però non decide in quel momento di farsi camilliano. Ma la gentilezza, i gesti paterni di fratel Coser e la sua benedizione sono un balsamo e gli danno sollievo.
L’autunno è ormai vicino. E nel corso di un autunno la grande croce rossa dei camilliani si presenterà nella vita di Ettore. In un modo del tutto inaspettato.
La massacrante vita in montagna, tra malghe, mucche e maiali, sta per finire. La sua schiena non ce la fa più a reggere. Ettore è costretto a recarsi a Trento da un medico, che sospetta un’ernia al disco e gli consiglia il ricovero all’ospedale di Mantova per accertamenti.
Ettore deve portare un busto di gesso, per evitare anche il minimo sforzo. Cerca di reagire e sul comodino accanto al letto, lì in quella stanza di ospedale dove si trova, c’è un’immaginetta sacra che raffigura il crocifisso di San Camillo. Ettore le prende e legge ciò che è scritto sul retro. È il resoconto di una storia accaduta a San Camillo. Leggendo, Ettore ha però la sensazione che quella storia sia rivolta a lui. È come se qualcuno gliela raccontasse, per illuminare la situazione in cui si trova.
Lo colpisce la frase di Gesù che, staccando le braccia dalla croce, disse a Camillo con un gesto di incoraggiamento: «Non temere, o pusillanime, che io ti aiuterò, perché questa è opera mia, non tua».
Ettore ha l’impressione che Gesù abbia detto quelle parole a lui. Rimane concentrato e riflette. E poi dice a se stesso: «Anche io voglio fare come San Camillo». E come aveva fatto Camillo quattrocento anni prima, ricoverato all’ospedale San Giacomo di Roma, si avvicina alle persone che hanno bisogno di un sorriso, di un conforto, di una parola serena, di un gesto di aiuto, di una gentilezza e di una carezza.
«La mia vocazione nasce allora, dirà Ettore a tutti, con l’immagine del crocifisso di San Camillo tra le mani: una vocazione alla sofferenza e al dolore».
Ristabilitosi a sufficienza, uscito dall’ospedale, Ettore andrà dal parroco del suo paese don Corvi e gli dirà: «Ecco, vorrei diventare un frate che aiuta i malati». Il parroco gli risponde: «La soluzione migliore è entrare dai camilliani; troverai anche un padre che è nato qui in paese: Augusto Lucchi». Ettore risponde che conosce i camilliani e pensa alla figura di fratel Coser, che cercava nelle malghe burro e formaggio e che lo aveva molto confortato e incoraggiato.
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