Di Giovanni Maria Rossi, camilliano
Non pretendo di presentare uno studio storico esauriente: non è il mio campo e, oggi come oggi, non posso permettere di dedicarmi alla lunga ricerca. Voglio soltanto presentare alcuni risultati di quelle poche ricerche che ho fatto, in modo tale da chiarire maggiormente il rapporto San Camillo-musica e da poterne trarre ulteriori insegnamenti che ci aiutino a vivere «lo spirito» del Fondatore anche in questo campo; quello «Spirito» cosi ben delineato nel suo famoso libro da p. Mario Vanti, il quale, d’altra parte, nel capitolo sulla «Rinunzia» già accennava, brevemente, ma incisivamente, al rapporto San Camillo-musica.
San Camillo e la musica in genere
«A me piace quella musica che fanno i poveri infermi nell’ospedale, quando molti insieme. Chiamando, dicono: “Padre, dammi a sciacquare la bocca, rifammi il letto, riscaldami i piedi”, e questa è la musica che dovrebbe principalmente piacere ai Ministri degli Infermi»
È la frase più «classica» e forse la maggiormente citata «in casa nostra» a proposito dei rapporti San Camillo-musica. Vale la pena, penso, analizzare contenuto e contesto, per chiarirne forse un po’ meglio lo spirito.
Il contenuto è in chiara relazione di trasposizione in chiave spirituale.
Ma bisogna rifarsi al fatto citato dagli storici, perché (il Vanti dice «assiste»: a quei tempi non si poteva fare diversamente …. Forse) ai vespri solenni in una delle principali chiese di Roma con alcuni confratelli. Al ritorno un confratello non fa che elogiare la musica e descrivere il gusto che ha provato. San Camillo reagisce (forse avrei reagito anch’io che non sono un San Camillo, ma che faccio il musicista, in particolare per la liturgia). Potremmo interpretare: «Fratello, ma tu ai vespri ci vai per ascoltare musica o per celebrare le lodi del Signore?» (anche se, a quei tempi rinascimentali, era difficile non immedesimarsi nel «suono puro», dato l’enorme sfarfallio dei suoni che faceva quasi scomparire la parola e, come dicevo sopra, la partecipazione). A quella dimostrazione di sfarzo e di grandiosità, foss’anche di trionfalismo, non è forse preferibile l’umile musica dei poveri malati, che, a loro modo, a più voce, fanno un concerto, ascoltando il quale dovremmo provare il massimo piacere riservato ai Ministri degli Infermi e a tutti coloro che ascoltano la parola di Gesù: «Ero infermo e mi avete visitato»? Questa trasposizione in chiave spirituale e in risposta a un confratello un po’ mondano, non dimostra certo l’opposizione o il disinteresse di San Camillo per la musica. Semmai dimostra il suo accostarsi alla musica con intelligenza, senza farne un assoluto, senza prenderla (come invece faceva il suo confratello) come «arte per l’arte» (cosa che sarebbe poi stata condannata da Pio XII).
È invece tipico che il Vanti metta questo fatto nel capitolo dedicato alla «Rinunzia». Infatti San Camillo fa riferimento esplicito al «piacere» della musica dei malati, in opposizione al gusto (piacere) della «musica per la musica» decantato dal suo confratello. Qui sì, è importante fare un’attenta considerazione: San Camillo non può essere d’accordo con chi si ferma dell’esteriorità e, peggio, pretende di decantare il gusto dell’esteriorità. Volendo approfondire, c’è qui qualcosa di più che la «mortificazione dell’udito» a cui fa riferimento il Vanti; c’è addirittura un richiamo al rischio dell’idolatria. J. Gelineau, nel commentare il passo dell’Enciclica «Musicae Sancre disciplina» riguardante l’arte per l’arte scrive: «Fare della forma estetica il termine dove lo spirito si arresta e riposa, è negare ogni altra verità […] Chi prende l’opera d’arte come oggetto ultimo della sua ammirazione e compiacenza rende culto alla natura. L’arte per l’arte è idolatria». San Camillo, che la sapeva lunga, non poteva non reagire di fronte a quello che gli appariva idolatria: tanto più se si trattava di un confratello.
Mi pare di poter qui aggiungere che, inizialmente riluttante, ma poi «ispirato», San Camillo aveva deciso di aprire, per i suoi confratelli, la strada dello studio, proprio perché non si cadesse in grossolanità di giudizio e perché si fosse più preparati ad ascoltare il «prossimo». L’idolatria della musica e la sua superficialità dell’uso vengono eliminati forse soltanto con lo studio. Uno studio, naturalmente fatto per essere sempre meglio a servizio. Come era nei desideri di San Camillo.
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