Il Carisma di Maria Domenica
Il carisma di assistenza al malato è un dono dello Spirito dato alla Beata Maria Domenica Barbantini per l’edificazione della chiesa e a vantaggio dell’umanità sofferente. Pur essendo un dono gratuito, non s’improvvisò nel cuore di lei e maturò attraverso un lungo cammino di travaglio, sofferenza e purificazione.
Maria Domenica nasce a Lucca il 17 gennaio 1789. Nel periodo dell’adolescenza sperimenta il dolore di quattro lutti familiari: la morte del padre e quella di tre fratellini a breve distanza l’uno dall’altro. All’età di anni 22, sposa il concittadino Salvatore Barbantini, ma dopo appena cinque mesi di matrimonio, lo sposo amato, muore improvvisamente. Di fronte al corpo inerte del consorte, la giovane vedova, già in attesa di un figlio, piange lacrime amare, ma vive il dramma con la forza della fede che la rende capace di formulare tra “le lacrime e i singhiozzi” una totale consacrazione al crocifisso: “Voi solo Crocifisso mio bene sarete d’ora in poi il mio unico sposo, il mio sommo amore, la mia eterna porzione”[1]. Nasce intanto il figlio Lorenzino che riempì di gioia il cuore della madre, ma all’età di otto anni il piccolo muore quasi improvvisamente. La Barbantini, pur lacerata dal dolore, non si chiude nell’angoscia straziante di una maternità infranta e di un matrimonio spezzato, ma apre il cuore ad una sponsalità totale con Cristo e ad una maternità spirituale ed universale con i fratelli e le sorelle infermi. D’ora in poi sarà il sostegno dei malati poveri e abbandonati della sua città.
Di giorno e di notte, sotto il sole cocente e la pioggia dirompente, ella percorre le vie strette e buie di Lucca per raggiungere il capezzale delle inferme e moribonde, abbandonate nel proprio domicilio. Talvolta le insaponavano le scale per farle dispetto, alcuni male intenzionati la inseguivano di notte, mentre con la lanterna accesa, penetrava nel buio del cammino che la conduceva alle abitazioni più squallide. Ma niente e nessuno poté mai fermarla. Il suo cuore ardeva di amore verso il Cristo nascosto nei malati e poveri e per essi rischiava gioiosamente ogni pericolo e la vita stessa. Il suo carisma di eroica carità s’incarnò nella storia generando la congregazione delle Ministre degli infermi di S. Camillo.
La nascita dell’Istituto
Affascinate dall’esempio eroico di carità della Barbantini, alcune giovani si unirono a lei col desiderio di condividerne lo spirito e la missione, e il 23 gennaio 1829, Maria Domenica dà inizio alla prima comunità delle “Sorelle oblate infermiere”, in seguito Ministre degli infermi di s. Camillo. Ricche di zelo e di amore per Cristo, la Fondatrice e le prime sorelle compirono prodigi di carità al capezzale delle inferme e morenti, nelle abitazioni povere, dove giacevano sole e abbandonate anche le moribonde. Esse avevano un solo ideale: “Visitare, assistere servire il Dio umanato, agonizzante nell’orto o spirante sopra la croce, nella persona delle inferme povere e moribonde” (regole di M.D. Barbantini). La testimonianza evangelica di eroica carità della Fondatrice e delle figlie, indusse mons. Domenico Stefanelli, arcivescovo di Lucca, ad approvare ufficialmente le Regole e l’Istituto, a soli dodici anni dalla nascita della prima comunità, e ciò avvenne il 5 agosto 1841.
L’istituto oggi
Le figlie della Barbantini sono oggi sparse in vari paesi del mondo: Italia, Taiwan, Brasile, Tailandia, Kenya, Filippine, Cile, Haiti, Vietnam, Perù, India, Indonesia, Costa d’Avorio, Cina. In ogni luogo esse continuano la loro missione di carità. Sensibili ai segni dei tempi e alle esigenze della chiesa locale, esse curano i malati anche a rischio della vita. Anche in questo periodo della storia, le figlie della Barbantini, operanti nei paesi dove le calamità naturali hanno seminato distruzione, disperazione e morte, sono accorse in prima fila soccorrere le popolazioni, portando loro cibo, medicine, curando le ferite del corpo e dello spirito. A tutti i sofferenti esse annunciano la Salvezza che è Cristo Signore.
La Insigne Reliquia del Cervello di Maria Domenica Barbantini
In occasione della beatificazione sono state riesumate a Lucca le spoglie mortali di Maria Domenica. Nel percorso di questo delicato intervento gli esperti operatori hanno trovato il cervello della defunta in buone condizioni.
Poiché la decomposizione di questo delicato organo avviene dopo breve tempo dalla morte, trovare questo organo in condizioni di freschezza a distanza di oltre 130 anni dalla sua scomparsa, fu un evento che lasciò tutti sbalorditi.
Ma un significato c’è. Maria Domenica fu Donna intelligente e di profondo pensiero, le sue lettere scritte alle figlie e a molte altre persone manifestano una grande sapienza, vedute lungimiranti, capacità di cogliere l’essenziale, profondità spirituale. Di spirito intraprendente e volitivo, aveva doti manageriali e organizzative, senso pratico e intuizione profonda.
Dal suo genio femminile nascono molteplici opere a favore della sua città:
– Organizza ed anima la catechesi nelle varie parrocchie
– Si preoccupa delle giovani in difficoltà e per esse istituisce un educandato
– Si prende cura della situazione difficile in cui versano alcune comunità
religiose e ristabilisce in esse tranquillità e sicurezza economica
– Per l’educazione delle giovani, fonda in Lucca il monastero della Visitazione
– Per i malati e poveri fonda in Lucca la Congregazione delle suore
Ministre degli infermi di S. Camillo.
Quel cervello che dopo oltre un secolo di vita fu trovato fresco e ben composto è un segno della ricchezza mentale di questa donna, della fecondità delle sue idee, delle sue capacità di intraprendenza e di coraggio nel servizio dei malati e poveri.
La Barbantini ha davvero lasciato il segno nella chiesa e nella società. Le cronache del tempo scrivono che tutta la città di Lucca pianse all’annuncio della sua morte; soprattutto i malati e gli infelici erano inconsolabili perché dicevano: “abbiamo perso una madre”.
(A Lucca, nella casa madre delle Ministre degli infermi è conservata l’Insigne reliquia del cervello della beata Maria Domenica).
[1] B. Brazzarola, Ricerche e studi su la vita e l’opera di Maria Domenica Brun Barbantini, Roma, pp.54-55
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