In “Servo di Dio Padre Rocco Ferroni. Un umile ed esemplare figlio di San Camillo”
“Facciamoci santi”. È un’espressione che di tanto in tanto raccogliamo dalle labbra di padre Rocco e ci dicono un po’ l’ardente desiderio di perfezione da cui era divorato. Meglio delle parole ci illuminerà la sua condotta. La sua vita spirituale è ricca di virtù, delle quali ne elenchiamo alcune:
L’UMILTÀ
Padre Rocco fu veramente umile. La via percorsa da padre Rocco, il fondamento della sua umiltà: l’imitazione di Gesù: Cristo è la Via, la Verità, la Vita, e nessuno viene al Padre, se non per Lui. E padre Rocco nell’esercizio di questa virtù si regolò cosi: pose la sua vita sotto lo sguardo di Dio, sentendo tutta la grandezza, l’onnipotenza convinto che tutto il bene che c’era in lui era opera di Dio, e tutto il male opera sua.
Testimoniano i confratelli: “L’umiltà sua era eroica: pareva persino sfuggire la sua stessa ombra”. “Non ho mai udito padre Rocco dire una sola parola in sua lode, oppure un’allusione che accarezzasse l’amore proprio, quantunque fosse stato stimato da quanti lo conobbero”.
Ma dove forse più che altrove egli esercitò il fascino della sua umiltà, espressa in grande dolcezza, fu in confessionale. Ci siamo chiesti perché mai tanta gente, appartenente alle più svariate classi sociali: seminaristi, sacerdoti, donne del popolo, uomini della nobiltà, oltre a tutti gli ammalati, ricorresse a padre Rocco. Nessuno dei suoi penitenti riesce a dircene la ragione; ed a noi sembra di poterla cogliere in “quella umile sicurezza” con cui sapeva dirigere le anime.
In confessionale si sentiva null’altro che ministro di grazia, strumento della misericordia di Dio, e perché chi lo avvicinava sentiva il Signore. Perché l’anima umile acquista una trasparenza tale che comunica Dio.
IL SILENZIO
“Parlava molto con Dio, poco con gli uomini”. Ed è questa forse l’espressione che coglie più al vivo la fisionomia di padre Rocco, perché la fissa in un atteggiamento che gli era abituale, ossia il desiderio di vivere in intimità con Dio.
Era, in questo, figlio fedele di San Camillo di cui leggiamo: “La pratica e l’abitudine dei buoni pensieri resero Camillo taciturno. Fuori dall’ospedale, dove la carità lo rendeva espansivo, era un uomo di poche parole. Il silenzio era per lui orazione, sensibile guadagno di tempo, assicurazione contro molti difetti ai quali non sfugge che parla troppo”.
Padre Rocco fu un modello di silenzio; scegliamo tra le testimonianze; “era la personificazione del silenzio”. “Esemplare ammirabile di sacrificio silenzioso”.
Padre Rocco non disse ad alcuno le proprie sofferenze fisiche, che non lo risparmiarono certo, data la sua gracile costituzione: ci volle sempre un comando espresso dall’obbedienza perché ne facesse parola e si curasse.
Si era trascritto tutto un bel mazzetto di sentenze, che ne trascriviamo solo alcune: “Quando taccio, prego bene e sto bene”. “Chi saprà conservare il religioso silenzio, avrà anche conservato il proprio cuore”: “Per mezzo del silenzio diventa facile il raccoglimento, e l’anima timorata trova in esso il suo rifugio”. E per ultimo: “Ecco il segreto per trovare la pace: parlare poco ed a proposito”.
Cosi era Rocco, per consenso unanime di che ebbe fortuna di viverli accanto, perché era sempre raccolto, alla presenza del suo Dio, incentrato nell’unico necessario.
Per mantenere questo raccoglimento metteva in pratica i consigli dell’Imitazione di Cristo: 1) cerca di fare la volontà degli altri più che la propria; 2) scegli sempre di avere meno che più; 3) cerca sempre l’ultimo posto e di sottostare a tutti; 4) desidera sempre e prega perché in te si compia integralmente la volontà di Dio.
LO SPIRITO CAMILLIANO
Un altro aspetto della spiritualità del Servo di Dio era vivere radicalmente lo spirito camilliano. Il mezzo fondamentale per vivere lo spirito dell’Ordine era la carità, come perfezione dell’anima e come servizio delle membra sofferenti del Corpo Mistico, vale a dire i malati.
San Camillo, per i suoi figli, come fonte più sicura, esigeva: “Se qualcuno ispirato dal Signore Iddio vorrà esercitare le opere di misericordia corporali e spirituali, secondo il nostro istituto, sappia che ha da esser morto a tutte le cose del mondo”.
Ha da essere morto, cioè distaccato completamente. È la legge fondamentale della perfezione religiosa, una legge tanto inculcata da Gesù con l’esempio e con la parola.
Padre Rocco, attingendo energie dalla sua vita di unione con Dio, aveva fatto tanta strada nel distacco dai suoi cari e da tutti, pur mantenendo rapporti di cordialità e di affetto.
Con le persone, con i confratelli manteneva i rapporti di carità, ma era fedele alla massima che se era trascritto: “non prender mai troppo affetto ad una persona sotto qualunque pretesto, ancora di santità”. Egli visse lo spirito di San Camillo nei voti religiosi: “col voto di povertà si completa e si perfezione la rinuncia al mondo e ai suoi beni” (San Camillo).
Padre Rocco fu cosi diligente nell’osservanza del suo voto di povertà, cosi fedele nelle piccole cose, perché era povero di spirito. Si era abituato a guardare in Cielo, in quella sua silenziosa ed umile rinunzia di sé stesso, che faceva di lui una creatura superiore, una creatura che viveva in un altro modo.
Dove attingeva tanta costanza? Certamente in quel contatto continuo e profondo con Gesù che contemplava fatto povero per noi, disceso sulla terra a conquistare le anime, non le cose. Egli era Maestro di povertà: “… Voi non siete di questo mondo, perché perdete il vostro tempo dietro le mille cose di questo mondo, che non sono vostre?”.
Come Superiore Padre Rocco vigilò perché la povertà fosse osservata, memore di quanto aveva lasciato scritto il Santo Fondatore: “Dobbiamo con ogni diligenza e spirito, mantenere la purità della nostra povertà… perché tanto si mantiene il nostro Istituto, quanto la povertà sarà osservata ad aunguem”.
Col voto di castità ci si impegna alla rinuncia a sé stessi, attraverso la mortificazione del corpo e dei sensi. La missione di questa virtù è ristabilire l’ordine primitivo “di amar Dio sì da trionfare del mondo, della carne e di satana” e tale amore può fiorire soltanto nei cuori puri. I mondi di cuore vedranno Dio.
La figura esile e delicata di padre Rocco emanava candore e purezza: c’era in quel suo atteggiamento raccolto e modesto, in quella riservatezza di gesti e di parole, in quel suo sguardo limpido, come di bimbo, il profumo e la freschezza dell’innocenza battesimale. Bastava vederlo passare per essere conquistati. Persino quel suo bisogno di pulizia e di ordine nella persona, nelle cose, nell’ambiente in cui viveva, era una manifestazione della sua purezza interiore, che seppe custodire con cura gelosa, pari alla stima che ne aveva.
“Io offro a Gesù Cristo il mio corpo e la mia anima; io voglio essere tutti di Lui per il tempo e l’eternità”.
Questi i pensieri ci chiariscono bene perché padre Rocco in materia di castità fosse tanto soavemente rigido con se stesso e con gli altri: egli credeva davvero che i puri di cuore vedranno Dio, non solo in Paradiso, ma anche sulla terra, in quella intima comunicazione con cui il Signore si rende visibile agli occhi pure che fissano soltanto la bellezza eterna.
Col voto di ubbidienza si offra a Dio la parte migliore e più cara di noi, vale a dire nostra volontà.
Studiando la vita di Padre Rocco ci siamo convinti che, per lui, il tutto della vita religiosa si compendiava nell’obbedienza. Come per Gesù, l’obbedienza al Padre fu il modo di compiere la volontà di Dio così dev’essere per l’uomo. Intendendo così l’obbedienza sta proprio qui: nel fare la volontà di Dio. Padre Rocco intese cosi il suo voto di ubbidienza, perciò non ci stupisce che egli sia riuscito a praticarlo con quella perfezione che lo rese degni di ammirazione da parte dei Superiori e confratelli.
Testimoniamo alcuni che, dopo essere stati suoi sudditi, divennero suoi Superiori, che era commovente vederlo presentarsi davanti a loro, ormai venerando per l’età, a chiedere questa o quella piccola licenza. Per padre Rocco, l’obbedienza ha un’efficacia santificatrice, perché sviluppa nell’anima la fede che è il principio della vita eterna, e la abbandona allo Spirito Santo in una maniera singolare. Un’efficacia tutta singolare che si trasfonde anche all’esterno dando ad ogni atto di obbedienza quel carattere di soavità, di fedeltà, di spontaneità che sono frutto dell’amore alla volontà di Dio.
Oltre ai tre voti tradizionali di povertà, castità e obbedienza, San Camillo ne aggiunse un quarto, del quale padre Rocco era consapevole del grande valore: “Servizio dei poveri infermi, ancorché appestati, nei bisogni corporali e spirituali”. Viveva questo voto in una pienezza di dedizione interiore ed esteriore, esemplare. Gli ammalati erano per lui persone sacre e li avvinava con un rispetto ed una venerazione che traspariva anche dal suo atteggiamento esterno. Gli infermi si sentivano attratti dal fascino della sua interiorità e ne restavano tanto confortati.
Ecco qualche testimonianza: “Prediligeva i più poveri e bisognosi; mandava infatti i religiosi all’assistenza notturna e diurna, o per semplici medicazioni, presso povere famiglie, cercando di accontentarli in tutto”. “Posso attestare con tutta verità che il portamento di lui fu sempre da Santo, specialmente per la sua inalterabile pazienza con tutti i degenti di quel luogo; era sempre pronto ad ogni loro bisogno, non solo, ma anche ad ogni volere e desiderio, non rifiutandosi di essere disturbato neanche quando si trovava in Chiesa per le preghiere, che con facilità gli ammalati di ambo i sessi interrompevano per un consiglio, per una benedizione o altro; ed era abituale a lui sorridere a tutti e tutti rendeva contenti”. “Al letto dei moribondi si tratteneva per ore ed ore, senza perdere in parole inutili, ma pregando”.
Con il quarto voto padre Rocco pose la sua vita in uno stato di totale dedizione verso gli infermi, arricchendo la sua spiritualità di una pienezza, anche umana e meravigliosa.
Tutto sta nel tenere l’anima in un atteggiamento di offerta perenne, proprio come fece padre Rocco, per mezzo delle preghiere: perché c’è un’intima relazione fra la vita di preghiera e la saldezza dei voti.
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