di p. Paolo Guarise
I Camilliani sono presenti in una decina di Paesi dell’Africa. Dopo il primo tentativo fallito in Sudan, alla fine del 1800 con P. Stanislao Carcereri, i Camilliani si sono stabiliti in Tanzania (1959), Burkina Faso (1966), Benin (1971) estendendosi poi in Togo e Repubblica Centrafricana, in Kenya (1976), Madagascar (1977), Uganda (2000) e recentemente in Costa d’Avorio (2015). Per un breve tempo sono stati presenti anche in Senegal. Nessuno però sapeva che ci sono Camilliani pure in Burundi, anche se “in incognito”, al di fuori di ogni inquadramento giuridico.
Dalla fine degli anni novanta, precisamente dal 1997, esiste in Burundi un gruppo di cristiani – uomini e donne – che si fanno chiamare Fraternité Saint Camille e si prodigano all’assistenza dei malati seguendo la spiritualità di S. Camillo de Lellis. L’ispirazione è venuta ad un giovane ora cinquantenne, Angelo Ndikumasabo che ha cominciato ad assistere i malati prima a Bujumbura, capitale del Burundi, e poi a Gitega, seconda città del Burundi, situata al centro del piccolo Paese africano che conta 6 milioni di abitanti.
Poco a poco Angelo si è circondato di altri compagni desiderosi di prendersi cura dei malati poveri, di quelli che non hanno mezzi per curarsi o che sono abbandonati dai famigliari. Con il passare del tempo il gruppo si è organizzato meglio scegliendo di fare vita comune secondo i requisiti di madre Chiesa. Il vescovo di Gitega, Mons. Simon Ntamwana, visto il loro spirito genuino e la costanza con cui procedevano, li ha esortati ad affidarsi al Santo dei malati, S. Camillo de Lellis, chiamando quel gruppo – nel quale agli uomini si erano ora aggiunte le donne – “Gruppo camilliano di Gitega”. In effetti sono semplicemente un “gruppo” (non un’associazione) di cristiani che operano sotto la guida del loro vescovo, facendo dei voti privati, di fronte al loro cappellano.
Questo gruppo però desidera avere una vita autonoma ed essere riconosciuto ufficialmente dalla chiesa, per cui vorrebbe essere aggregato, o inserito totalmente, all’Ordine dei Ministri degli infermi. A tale proposito, per avere una maggiore conoscenza del santo dei malati, hanno proposto al sottoscritto di recarsi in Burundi per tenere un Ritiro spirituale avente per tema il carisma e la spiritualità camilliana. Detto, fatto. Dopo avere ottenuto la Lettera di invito da parte di Mons. Ntamwana, arcivescovo di Gitega, ho preso l’aereo e sono andato a scoprire questi “camilliani di fatto”.
Essi sono divisi in due gruppi, quello maschile che consta di una trentina di persone sparse in tre comunità, e quello femminile costituito da circa 35 donne, anch’esse sparse in tre comunità. Le loro abitazioni, in consonanza con la vita del Paese – il Burundi è uno dei paesi più poveri dell’Africa – sono molto semplici ed essenziali. Sono state costruite da loro stessi/e, a mano: sono di un solo piano, fatte di mattoni rossi che è l’elemento in muratura meno costoso. Siccome il lavoro e l’impiego retribuiti non si trovano facilmente, ogni casa ha un fazzoletto di terra da coltivare ad orto, inoltre c’è sempre qualche animale da allevare: una mucca, un paio di maiali, qualche coniglio. Vivono una vita semplice, centrata sulla comunità, alternando la preghiera con lo studio, il lavoro e l’assistenza ai malati. Hanno in programma di accedere a qualche corso di specializzazione, ma questo è difficile da realizzarsi a motivo della difficoltà a pagare la quota di iscrizione. Attendono di essere aggregati o, meglio, inseriti appieno in un Ordine o Congregazione, in modo da essere riconosciuti dalla Santa Sede ed avere un posto definito nella Chiesa di Dio. Non c’è dubbio sull’origine divina della loro vocazione ed apostolato, altrimenti nei 20 anni di attività che hanno svolto finora si sarebbero già dispersi, come ben disse il rabbino Gamaliele (v. Atti 5, 38-39). Invece il loro numero aumenta di anno in anno. San Camillo, dunque, è arrivato da tempo in Burundi; ora tocca a noi Camilliani guadagnare tempo.
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