Relazione di p. Frank Monks Incontro Internazionale dei Cappellani Camilliani
Roma, 4-6 novembre 2016
La maggior parte dei cappellani ospedalieri conosce il proprio lavoro e il modo migliore per svilupparlo. La maggior parte di noi sa che potremmo e dovremmo essere e fare molto meglio di quello che stiamo facendo e che possiamo sempre imparare arricchendoci di nuove intuizioni. Non si può certo insegnare ad essere un cappellano dell’ospedale, ma è certamente possibile essere aiutati per una maggiore efficacia del nostro servizio, grazie a una maggiore conoscenza di sé e ad una più profonda conoscenza delle scienze umane. Tuttavia, è importante non essere troppo assorbiti dal processo teorico per non perdere il contatto – il tocco – con lo stress e i traumi incontrati ‘faccia a faccia’ nel ministero in ospedale, in continuo cambiamento.
Credo che questi giorni vissuti insieme devono essere caratterizzati dalla condivisione onesta della realtà, delle difficoltà, delle sfide e di tutto quello che ci aiuta ad andare avanti. Spero di poter essere autentico in questa presentazione, riflettendo sulla mia vita e sulle mie motivazioni alla luce della realtà che vedo intorno a me in questo momento della storia dell’Ordine e della mia provincia religiosa, e sulla mia risposta personale a tutto questo.
Davanti a me, vedo cappellani provenienti dai quattro angoli del mondo e sono molto consapevole del fatto che la realtà del ministero della cappellania esercitato in Africa, Sud America o in Asia è lontano anni luce dallo stile con cui viene vissuto in Europa e Nord America. Sono sicuro che questo problema verrà a galla fortemente nei lavori di gruppo e forse anche in altre presentazioni. Quello che ci unisce tutti però, è il nostro carisma camilliano che deve essere la forza trainante per tutti noi nella ricerca di risposte alle sfide poste dai diversi ambienti culturali in cui operiamo. Il nostro carisma è una delle nostre principali fonti ‘immutabili’ di motivazione per fare quello che facciamo. La modalità attuativa con cui esprimiamo il carisma sarà in continua evoluzione a seconda della realtà che dobbiamo incontrare. I valori non cambiano mentre le strutture devono cambiare: il carisma è uno dei nostri valori centrali.
Io sono chiamato ad essere profetico nella quotidianità della storia che vivo. Sì, il carisma troverà varie espressioni, diverse a seconda delle realtà del contesto in cui dobbiamo inserirci, ma la fonte della nostra motivazione sarà sempre il nostro carisma. Devo necessariamente ricordare che per la natura stessa della mia professione religiosa sono chiamato ad essere profetico.
La motivazione è di fondamentale importanza se vogliamo essere profetici. Non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che il nostro ministero deve sempre avere una forte dimensione evangelizzatrice. Dobbiamo sempre essere prudenti a non perdere il nostro senso di missione: “quando abbiamo chiaro il ‘perché’, saremo in grado di affrontare qualsiasi ‘come’” (V. Frankl). Questo accade quando la nostra identità e la motivazione sono chiare. Il fatto che siamo coinvolti in attività pastorali di per sé non significa che siamo impegnati nel ministero. Siamo impegnati nel ministero “quando sia la nostra vita che le nostre azioni spontaneamente indicano e promuovono il Regno di Dio” (M. Amalodoes).
Se siamo fedeli al nostro carisma, il nostro ministero avrà sempre una dimensione evangelizzatrice. Quindi una domanda molto pertinente per tutti noi è quella di chiederci quanto sia vivo il carisma per ognuno di noi in questo momento? Ci sta infiammando dentro come accadde per Camillo?
Il mondo della sanità ci offre enormi possibilità per l’evangelizzazione. In un solo giorno passano più persone attraverso le porte di un ospedale che, in una settimana, attraverso le porte di una chiesa. Nessuno sfugge alla possibilità di essere ricoverato in ospedale o di dover visitare qualcuno ricoverato in ospedale. San Camillo percepiva l’ospedale come “la vigna mistica del Signore”, dove “i malati sono i nostri signori e padroni”.
Credo che la più grande sfida che abbiamo di fronte come cristiani, soprattutto nel mondo occidentale, sia nell’ambito della fede. La vera sfida sta nella nostra capacità e volontà di affrontare con gioia un futuro incerto. Qualche giorno fa, l’arcivescovo di Dublino, Dermot Martin, ha osservato che “la fede, oggi, è una lingua straniera”. Questo cambiamento culturale profondo, è una sfida per il ministero del cappellano, in cui il linguaggio tradizionale del sacrificio, della sofferenza, della croce, della fiducia in Dio Padre nostro, sta rapidamente diventando una serie di semplici parole di un dizionario, che le persone hanno bisogno di consultare per essere ben comprese. Solo fino a pochi anni fa, tutti i malati e il personale sanitario provenivano da un’appartenenza chiara alle chiese cristiane: ora ci confrontiamo con tutte le credenze religiose e con nessuna appartenenza religiosa. In un tale contesto il nostro futuro cristiano sembrerebbe essere più incerto che mai. Noi, uomini e donne di speranza cristiana, siamo pronti a perseverare in quello che facciamo perché è la cosa giusta da fare, indipendentemente dalle conseguenze, senza cercare risultati? Questo fa parte dell’essere profetici.
Guardo l’Europa secolarizzata di oggi e mi chiedo: C’è ancora qualcosa che può essere considerato come sacro? Siamo ancora in grado di meraviglia? Che cosa, realmente, ci tocca in profondità? C’è ancora qualcosa che riesce ad elevare il nostro spirito? Questa è la realtà in cui sono chiamato ad essere profetico. Se vogliamo essere profetici, dobbiamo essere capaci di distinguere laicità e laicismo (secolarismo e secolarizzazione).
Michael Paul Gallagher descrive il secolarismo come un modo di percepire il mondo in cui non c’è spazio per il trascendente, il divino, il soprannaturale. Possiamo dire che Dio è dimenticato e la sua assenza non è percepita.
La secolarizzazione, invece, è un processo esistenziale attraverso il quale la vita, a livello personale e sociale è liberata dal controllo dettagliato della religione, mentre rimane, ancora, in gran parte illuminata e guidata dalla fede. La secolarizzazione vuole la sua propria autonomia, ma non necessariamente la sua indipendenza. La secolarizzazione non è necessariamente nemica del discepolato, né della missione cristiana.
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