Mi piace iniziare il commento di questa seconda “ Opera di Misericordia Spirituale” con un bel pensiero di San Rabano Mauro, Abate benedettino di Fulda e grande Arcivescovo di Magonza: “Fa elemosina chi riconduce l’errante sulla via della verità; fa elemosina chi istruisce l’ignorante, chi annuncia la Parola di Dio ai suoi vicini.”Ecco in estrema sintesi l’obiettivo essenziale e profondo di chi vuole compiere questo impegnativo gesto di carità .Tra gli ignoranti che incontriamo, leggendo il Vangelo, ne possiamo distinguere tre categorie: i primi sono quelli che non sanno di non sapere. L’esempio più eclatante è l’Apostolo Simon Pietro, un carattere vivace, un impulsivo sempre pronto a dire la sua. Capace di dire a Gesù:”Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente,”(Mt.16,16) perché toccato da una rivelazione che gli è venuta “nè dalla carne né dal sangue, ma dal Padre che è nei cieli” e poi assolutamente incapace un secondo dopo, di recepire quello che gli risponde Gesù, quando annuncia la sua passione e morte in Croce. Simon Pietro, il Principe degli Apostoli, si dimostra un uomo pronto a riconoscere l’identità divina di Gesù, e che il momento dopo si sbaglia completamente. Così, quando Gesù cominciò a dire ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso, e risuscitare il terzo giorno, Simon Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo:”Dio te ne scampi Signore, questo non ti accadrà mai”. Ma Gesù voltandosi disse a Pietro:”Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini”.(Mt. 16,21-23) La seconda categoria è formata da coloro che sanno di non sapere, sono alla ricerca e si interrogano.
Tra i contemporanei di Gesù, troviamo Nicodemo, un saggio ebreo, un dottore della legge, un maestro in Israele che conosceva perfettamente le Scritture e le insegnava. Il suo sapere non aveva però estinto il desiderio di andare avanti nella conoscenza. Andò da Gesù di notte e non comprendendo le sue misteriose parole “ se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio,”gli chiese: “…come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere”?Gli rispose Gesù:” Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose?”(Gv.3,1-12) In questo caso possiamo costatare come Nicodemo, pur essendo sapiente, risulta un ignorante perché non capisce le modalità di azione dello Spirito e vuole progredire nella conoscenza. Alla terza infine, appartengono le persone che sanno di sapere. Questi in verità sono i più ignoranti e soprattutto i discenti più difficili ai quali insegnare. Nel Vangelo questi sono i farisei, gli scribi e gli anziani. La sfida più grande, pertanto, a cui tutti siamo invitati, è quella di insegnare alle tre categorie: quelli che non sanno di non sapere, quelli che sanno di non sapere e infine, quelli che pensano di sapere.
Bisogna sottolineare subito che la fede che vogliamo motivare e ravvivare nelle persone ritenute ignoranti, non consisterà tanto nel disquisire su una dottrina, quanto nell’aiutarle a incontrare e amare una persona: Gesù. Se infatti non siamo attratti prima noi e innamorati di Lui, se la Sua presenza non illumina la nostra mente e riscalda il nostro cuore come gli Apostoli dopo la Pentecoste, potremo essere dei bravi ed esperti professionisti della Parola, ma non testimoni di un Amore vissuto nella carità, come ci esorta l’Apostolo Giovanni:”Figlioli, non amiamo a parole o con la lingua, ma coi fatti e nella verità.”(I Gv.3,18) Scriveva il Beato Paolo VI:”L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri ,o se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”. L’ignorante pertanto è colui che non conosce, non sa come sia dolce ed entusiasmante incontrare ed amare Gesù e dovrà essere attratto dalla nostra personale esperienza. Scriveva Ernst Hello: “Chi possiede una parola di vita e non la trasmette ad altri, somiglia a un uomo che in tempo di carestia tiene grano nel granaio e lascia che gli affamati vengano meno sulla sua soglia”.
Non si tratterà quindi di condurre gli incerti e gli ignoranti a una fede teorica ed astratta,ma a una carità operosa, segno e distintivo dei cristiani:”Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri.”(Gv.13,34-35) Nella carità infatti trovano compimento tutta la legge e i profeti: la fede senza le opere è morta, infatti il giudizio finale sarà sulla carità.(Mt.25) Carità che rende felice e gioiosa la vita del credente, anche in mezzo a prove e tribolazioni. Per sapere quanta felicità una persona può ricevere nella vita, basta sapere quanta è capace di darne.”Quello che sorprende gli altri, affermava Madre Teresa, non è tanto quello che facciamo, ma il vedere che ci sentiamo felici di farlo e sorridiamo facendolo”. Questa insistenza sulla carità e sulla gioia, serve a sottolineare che non saranno alla fine gli insegnamenti e i ragionamenti a convertire i lontani alla conquista della verità ,ma l’attrazione della nostra personale esperienza che potrà condurre gli ignoranti e gli incerti, fino all’incontro appagante e pacificato con Dio,come testimoniato dal grande Agostino:”Hai fatto o Signore il nostro cuore per te ed è inquieto finchè non si riposa in Te.”(Confessioni) Si tratta quindi di un’opera di misericordia urgente e attuale; essa richiama il dramma dell’ignoranza nelle cose riguardanti la fede e che interessa una forte percentuale di persone del nostro tempo, anche se battezzate e cresimate. Già San Girolamo denunciava che :”L’ignoranza delle Scritture, è ignoranza di Cristo”.
Per questo La Chiesa, lungo i secoli è sempre stata promotrice di evangelizzazione, di cultura e di civiltà operata dai missionari, dai volontari, dalle scuole cattoliche e anche oggi interpella non solo la qualità delle nostre Omelie e Catechesi, ma anche l’adeguato ed efficace insegnamento della religione nelle scuole, sia da parte dei sacerdoti che dei laici. Dice l’Evangelista che Gesù si commosse di fronte alle folle “perché erano come pecore senza pastore, e allora si mise a insegnare loro molte cose.”(Mc.6,34) Siamo infatti bombardati da infinite parole di maestri di ogni specie che pongono sullo stesso piano il lecito e l’illecito, il bene e il male. Sempre più spesso la persona è lasciata a se stessa di fronte ai problemi morali più gravi .Ci vengono a mancare riflessione e saggezza. Dobbiamo sentire la necessità di affidarci all’unico vero pastore e maestro:Gesù. “Uno solo è il vostro maestro ,e voi siete tutti fratelli.”(Mt.23,8) “Capisci quello che stai leggendo?”chiese Filippo al funzionario etiope che stava leggendo un passo del profeta Isaia. E quegli rispose:”E come potrei se nessuno mi istruisce?”(At.8,30-32) Per questo Don Milani aveva capito che la scuola per i ragazzi era un modo per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito dal suo popolo quando predicava il vangelo. In questo contesto mi permetto di ricordare che in tante parrocchie vi sono ragazzi stranieri e anche poveri che non possono pagarsi l’insegnante privata di sostegno: le maestre cristiane non potrebbero, dove è possibile, compiere questo prezioso gesto di carità? Se ne capirebbe l’urgenza e l’importanza solo leggendo il libro: “Lettera a una Professoressa”di Don Milani.
Ma non sono solo i ragazzi ad avere bisogno di essere catechizzati, quanto soprattutto gli adulti. Ignorante non è solo la persona priva di cultura e di erudizione, ma anche chi non conosce le cose che più dovrebbe conoscere, e può essere anche un professore universitario o un famoso scrittore. Si evoca qui la strana condizione dell’uomo d’oggi, che sa tutto tranne le cose che contano, che conduce a termine le indagini più complicate ed è muto davanti alle domande fondamentali e più semplici, che è in grado di andare a raccogliere i sassi della luna e non riesce a sapere cosa è venuto a fare sulla terra, quale è il destino che alla fine lo aspetta ,se la sua esistenza è frutto di un disegno d’amore o di una cieca casualità. Un pensiero di Don Milani, per concludere, conferma quanto già detto: “nessuno più si fida di nulla che non sia vissuto prima che detto”. Ed è giusto. E Gesù stesso ha molto più vissuto che parlato: ha insegnato più col nascere in una stalla e col morire su una croce che col parlare di povertà e di sacrificio.”
Padre Rosario Messina
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