La grazia più grande, il dono più bello che Dio ci ha fatto, è stato quello di ‘visitarci’ inviando nel mondo Suo figlio, motivo di esultanza per il vecchio Simeone quando Lo accolse pieno di gioia tra le sue braccia esclamando: “ Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza .“(Lc.2,28-32) Una visita, quella di Gesù, non certo di cortesia, come spesso oggi noi la intendiamo, ma talmente stupenda ed efficace da ‘salvare’ il mondo dal peccato e riportarlo alla santità della sua prima origine. Altrettanto stupenda e meravigliosa è la “visita” che Dio compie attraverso due angeli: il primo annuncia al vecchio Zaccaria che la sua sposa Elisabetta, anche se sterile e avanti negli anni, era già incinta e prossima a partorire un figlio; (Lc.1,11-20) il secondo annuncia a Maria, giovane e vergine, che anche lei avrebbe concepito e partorito un figlio, chiamandolo Gesù.(Lc.1,26-38) Ci bastano questi due esempi per comprendere che, nella Bibbia, quando Dio “ visita” qualcuno, quasi sempre compie qualcosa di bello, di imprevisto, di prodigioso, talvolta però anche per annunciare castighi o punizioni. Se Dio compie quasi sempre “visite” salutari, anche noi siamo invitati a fare altrettanto. Nel caso delle “opere di misericordia,”è lo stesso Signore che ci invita a uscire dai nostri comodi e dalle nostre case, per andare a visitare qualcuno che ha bisogno del nostro aiuto o della nostra presenza. lo stesso termine ‘misericordia’ ci dice già che siamo invitati a rivivere la compassione, la tenerezza, il prenderci a cuore la miseria, il dolore o la solitudine di chi si va a visitare.
Un esempio concreto ce lo offre Maria che corre a visitare la cugina Elisabetta, bisognosa di aiuto per il prossimo parto, compiendo per questo un lungo e faticoso viaggio che la porterà dalla Galilea fino alla lontana regione montuosa della Giudea. Generosamente disponibile a compiere tutti quegli intimi e familiari gesti di aiuto che si rendono necessari in occasione della nascita di un bambino, Maria si fermerà con lei circa tre mesi in un clima di gioia, di festa , ma anche di trepida attesa, cantando e danzando per il Signore; e mentre racconta le meraviglie che Dio ha in lei operato, sgorga dal suo cuore lo splendido canto del Magnificat.(Lc.1,39-56) Pertanto, quando la Chiesa ci invita a visitare i malati, in qualche modo ci esorta a imitare non solo l’esempio di Maria, ma anche e soprattutto quello di Gesù, che visitava spesso le case segnate dal dolore, dal lutto o dalla malattia; Lui certamente aveva il potere di guarire ogni sorta di infermità, noi invece quello di visitare, di consolare, di condividere il dolore o la solitudine, alleggerire il peso di quanti piangono o soffrono nel corpo o nello spirito . Una visita quindi che deve trasformarsi in un atto di amore, di vicinanza, di sostegno nel momento della tristezza e dello sconforto; privilegiando nelle visite non le molte parole ma un ascolto attento ed empatico, aiutando soprattutto il malato a liberarsi da tensioni, dubbi, rimorsi e nascoste amarezze.
Le nostre parrocchie sono per lo più popolate da anziani, molti dei quali non autosufficienti, da disabili, malati mentali, malati di tumore quasi sempre impauriti o terrorizzati da possibili infausti eventi. Noi cristiani non possiamo lasciarli soli, sono nostri fratelli, membra di un unico corpo che è la Chiesa, e nel corpo vige la legge della solidarietà: “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”.(1Cor.12,12-31) Tali visite vanno quindi compiute con gioia e con viso sorridente, nella fiduciosa attesa di accogliere un giorno il lieto annuncio di Gesù, giusto giudice: “bravo servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore, perché io ero malato e tu sei venuto a visitarmi;”(Mt.25) piangevo per la disperazione e tu mi sei stato vicino con tanta delicatezza, con piccoli gesti di affetto, di sostegno, di conforto, tali da infondermi coraggio e speranza.
Ma il giusto giudice porrebbe anche dirci : sono stato malato per anni nella strada dove tu abitavi, o nel quartiere accanto alla tua Parrocchia, ma tu sei vissuto come se io non esistessi. Non ti ho mai visto, non ti conosco, purtroppo non potrai godere la gioia del tuo Signore. Ti attende solo il supplizio eterno.(Mt.25,31 -45) Per evitare questa irrimediabile sciagura, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, il Signore continua a esortarci a non essere egoisti e sordi alle invocazioni di aiuto, così come affermano le parole del Siracide(7, 34-35):”Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti mostrati afflitto. Non esitare a visitare un malato, perché per questo sarai amato”. Una visita quindi premurosa e cordiale potrà trasformarsi in un incontro misterioso ma reale con il Cristo presente nel malato, e a sua volta sarà Cristo a visitare noi nella persona del malato. Stupenda è infine l’affermazione di San Giacomo che definisce la carità cuore del Vangelo: “ Religione pura e senza macchia davanti a Dio è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.”(Gc.1,27)
La stessa Bibbia però ci mette in guardia dalle visite ai malati ipocrite o controproducenti. Anzitutto il Salmo 41 inizia elogiando chi visita un malato:”Beato l’uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera”, ma subito dopo ci riferisce i lamenti del malato visitato:”chi viene a visitarmi dice il falso, il suo cuore cova cattiveria e, uscito fuori, sparla”. Ancora più forte è il lamento di Giobbe, il quale ridotto dalla malattia a somigliare a un lebbroso, per questo motivo buttato dalla moglie nel letamaio, viene visitato dai suoi amici che definirà alla fine: “medici da nulla,”(Gb.13,4) “consolatori stucchevoli”, (Gb.16,2) “raffazzonatori di menzogne,”(Gb.13,4) “ persone moleste e nemiche”. L’errore degli amici di Giobbe, che spesso è anche il nostro, consiste nel presentarsi al malato come “salvatori”, nella convinzione cioè di sapere, meglio del malato stesso, ciò che lui deve fare. Chi visita invece un malato, deve solo tentare di condividere, per quanto possibile, la sua impotenza e la sua debolezza, ricordando che il suo capezzale non è il luogo per una predica o per una lezione di morale o di teologia. E’ al malato che si deve lasciare guidare la visita, è a lui che deve essere lasciata la parola, è lui il maestro da ascoltare: è in lui che si identifica il Cristo, non nel visitatore. Anche la postura di chi l’assiste deve essere corretta, non si può rimanere in piedi guardando il malato dall’alto in basso, ma mettendosi al livello dei suoi occhi , per potere comunicare comodamente con lui.
La visita inoltre non è fatta solo di parole, ma anche di silenzi, di sguardi, di preghiera, di ascolto, cercando anche di capire i messaggi non verbali che il malato ci trasmette; in situazioni più gravi si può comunicare con gli occhi, con le mani, con lo sguardo e con il tatto. Neppure si possono rivolgere al malato parole banali, come:” vedrai che presto ritorni a casa” se è in ospedale e sta molto male, oppure “ti vedo meglio” mentre poi usciti fuori commentiamo molto diversamente “hai visto com’è ridotto?”, “poverino non gli resta molto da vivere,” oppure diciamo frasi che spengono le domande insistenti del malato “ma cosa dici ,non pensare a queste cose.” In tutte queste situazioni il malato percepisce come nemici i suoi visitatori, intuisce la loro doppiezza e falsità, e per questo si deprime e si irrita come Giobbe. Fatte queste necessarie precisazioni, non per scoraggiare ma per sottolineare più in profondità il significato fecondo ma anche rischioso della visita ai malati, concludo con una stupenda beatitudine rivolta da San Camillo a quanti visitano o assistono con cuore di madre i malati: “Beati e Felici voi, se potrete essere accompagnati al tribunale di Dio da una lacrima, da un sospiro di questi poverelli infermi, perché andrete a goderLo eternamente.”
Padre Rosario Messina
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