di p. Rosario Messina
“Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò”. ( Gb. 1,21) Questa famosa frase di Giobbe, ci fa riflettere sulla realtà iniziale e finale di ciascuno di noi : qualcuno ci veste quando nasciamo e un altro ci veste quando moriamo,” quasi a preannunciarci che la vita, ogni vita, dovrebbe essere costellata e contrassegnata da gesti di tenerezza. I primi a fare questa esperienza, furono i nostri progenitori Adamo ed Eva, come ci racconta la Bibbia: “tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.”(Gen.2,25) Solo dopo il peccato, avendo tradito l’amicizia di Dio con la disobbedienza, “gli si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.”(Gen.3,7)
Ma il Signore Dio, pur castigando il loro peccato, con un gesto umanissimo “fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì,”(Gen.3,21) facendogli così sperimentare la loro fragilità, pur se avvolta dalla sua divina misericordia. Sarà sempre lo stesso Signore Dio, nello scorrere del tempo e attraverso le Sue progressive rivelazioni, a scegliere “ Israele come Suo popolo” e a mostrare sempre particolare interesse per la nudità innocente ed umiliata del povero, della vittima, dell’emarginato, dello schiavo e del malato di mente. Tra tanti, ecco un drammatico testo di Giobbe: ”Nudi passano la notte, senza abiti, non hanno da coprirsi contro il freddo. Dagli acquazzoni dei monti sono bagnati, per mancanza di rifugi si aggrappano alle rocce. Sono resi fradici dagli scrosci della montagna, senza riparo si rannicchiano sotto una roccia…vanno in giro nudi, senza vestiti, sono affamati.”(Gb.24,7- 10) Sembra di assistere alle medesime scene che stanno accadendo oggi sotto i nostri occhi nelle terre e nei mari vicini a noi, con barconi di migranti affollati di donne disperate e di bambini seminudi che affondano, con gente buttata in mare senza pietà e inghiottita dal freddo e dalle onde, senza dimenticare le terre dove avvengono terremoti, alluvioni, guerre, siccità e devastazioni di ogni genere.
Per queste e altre situazioni tristi e dolorose, il Signore Dio ci chiede una “compassione per il corpo”, che si esprime non con un invito ma con un esplicito comando: ”Fa’ parte dei tuoi vestiti con chi è nudo”; (Tb.4,16) e questo non come gesto di carità ma di giustizia: ”Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia… divide il pane con l’affamato e copre di vesti chi è nudo, egli è giusto, vivrà e non morirà;”(Ez.18,5-189) indica esplicitamente qual’ è il vero digiuno a Lui gradito: ”Questo è il digiuno che voglio, vestire uno che vedi nudo.”(Isaia,58,7) Nella pienezza dei tempi, lo stesso Gesù figlio di Dio, avendo voluto condividere in tutto la nostra condizione umana eccetto il peccato, volle provare l’ umiliazione di non avere panni per coprirsi, sperimentando così la nudità, non solo quando nacque nella grotta di Betlemme al freddo e al gelo, ma anche durante il processo che lo condurrà alla morte: Pilato consegnò Gesù ai soldati romani i quali lo spogliarono dei suoi vestiti, gli caricarono sulle spalle una croce sulla quale verrà crocifisso, morendo nudo dopo tre ore di agonia .
Oggi il Crocifisso sugli altari, oltre a ricordarci il supremo gesto di amore di Gesù morto per ciascuno di noi, ci deve aiutare a scoprire e riconoscere la Sua presenza e la Sua nudità incarnata in tanti poveri che non hanno mezzi per coprirsi, se vogliamo un giorno sentirci rivolgere quelle dolci e consolanti parole : “ Venite benedetti del Padre mio… perché Io ero nudo e mi avete vestito.”(Mt.25) La Chiesa delle origini aveva compreso molto bene come vivere il comandamento dell’amore raccomandato da Gesù. Tra tanti fulgidi esempi, mi piace ricordare il commovente racconto degli Atti degli Apostoli , quando Pietro risuscita Tabità di Giaffa, mentre “ tutte le vedove gli mostravano le tuniche e i mantelli che lei aveva confezionato quando era tra loro, abbondando sempre in elemosine e opere buone.”(At.9, 26-39) Lungo poi il corso dei secoli si potrebbero ricordare e raccontare gesti di amore e di carità, compiuti da Papi, Vescovi, Sacerdoti e semplici fedeli , che costituiscono la Storia più bella della Chiesa fondata da Gesù.
Ma un episodio edificante, che è rimasto scolpito nella mente e nel cuore di tanti credenti, è quello descritto da Venanzio Fortunato nella Vita di San Martino, vescovo di Tours, quando :”ad un povero incontrato sulla porta di Amiens, che si era rivolto a lui, Martino divide in parti uguali il riparo della clamide e con fede fervente lo mette sulle membra intirizzite. L’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo, il freddo e il caldo diventano un nuovo oggetto di scambio e una sola povertà è sufficiente divisa a due persone”. Solo la carità può compiere questi prodigi! Condividere pertanto gli abiti con il povero, non tanto la raccolta impersonale di indumenti da inviare ai poveri del terzo mondo, diviene un gesto concreto di carità e gratuità, scambio in cui chi si priva di qualcosa non si impoverisce, ma si arricchisce della gioia del dono e dell’incontro. Un vestito per coprirsi è una esigenza essenziale per la vita umana, come le penne per gli uccelli del cielo o le tane per le volpi.
Questa opera di misericordia, inoltre, può trovare oggi molti altri spazi che vanno oltre il dono di un semplice abito. In quasi tutte le parrocchie, ormai, ci sono anziani soli o malati che non hanno tanto bisogno dell’abito, ma di qualcuno che li aiuti a vestirsi, o magari anche a lavarsi. Inoltre le periferie delle nostre città sono ormai invase da extracomunitari, soprattutto da donne e bambini, reduci da fame e guerre, ma soprattutto da donne sfruttate, violentate, stuprate, offese, che chiedono vestiti pane e lavoro, ma soprattutto anelano ad essere riabilitate nella loro dignità di donne, di persone meritevoli di stima e rispetto come tutti noi. Ricordiamoci, come credenti, che anche loro come noi sono “carne di Cristo”, una carne che chiede di essere rivestita di bellezza, fosse anche quella di un fiore ricavato dagli scarti.
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