CONGREGAZIONE
PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA
E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA
Città del Vaticano, 1 febbraio 2016
Profezia, prossimità, speranza: questi i tre pilastri della Vita consacrata indicati da Papa Francesco che questa mattina ha parlato ‘a braccio’ a un’assemblea di quasi 5.000 consacrati e consacrate riuniti nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Molti i temi affrontati: l’esortazione ad una vita ‘in uscita’ che però non dimentichi le persone più prossime, quelle con cui si vive insieme; l’obbedienza, vissuta come quella di Gesù, che non è stato ‘anarchico’ ma obbediente fino alla fine; la raccomandazione di evitare le chiacchiere che ‘uccidono’ la vita fraterna; l’importanza di un vero discernimento vocazionale. A proposito del calo delle vocazioni, ha spiegato che a volte ci possono essere tentazioni contro la speranza ma – ha aggiunto – “quando tu vai in un cimitero e vedi che ci sono tanti missionari religiosi morti e tante suore morte a 40 anni perché hanno preso le malattie, queste febbri di quei Paesi, hanno bruciato la vita… Tu dici: questi sono santi! Questi sono semi! Dobbiamo dire al Signore che scenda un po’ su questi cimiteri e veda cosa hanno fatto i nostri antenati e ci dia più vocazioni, perché ne abbiamo bisogno”!
Di profezia ha parlato anche il Cardinale De Aviz, Prefetto CIVCSVA, nell’indirizzo di saluto al santo Padre, indicando i punti che in quest’anno si è cercato maggiormente di vivere: “la gioia della nostra consacrazione, la profezia per ‘svegliare il mondo’, l’essere ‘esperti di comunione’, l’andare nelle periferie esistenziali, dove molti di noi già da tempo consumano la loro vita in favore dei rifugiati, dei poveri, degli esclusi, dei malati, dei bambini, dei giovani e degli anziani. Molti di noi nei vari carismi cercano di capire cosa Dio e l’umanità ci chiedono oggi”.
Al termine della mattinata Mons. Caballo, Arcivescovo Segretario CIVCSVA, ha letto una lettera al Santo Padre a nome di tutti i consacrati: “Cosa abbiamo compreso e maturato in questo Anno della vita consacrata? Il rischio sarebbe quello di dire le cose che abbiamo fatto, peccando di “mondanità spirituale” (EG 93), o fare la litania del non fatto; in realtà, il frutto più bello offertoci dalla Chiesa è riconoscere ciò che Dio ha fatto per noi” (cf. Sul confine dell’Anno della Vita consacrata guardando il mondo con occhi di misericordia).
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