Il pronto soccorso dell’anima
In Argentina un servizio per portare i Sacramenti ai moribondi
L’appartamento è piccolo ma ben strutturato: due camere, quattro letti, uno per ogni volontario. Ben in vista e raggiungibile, un telefono dallo squillo potente per scuotere dall’abbraccio del sonno: è decisivo non perdere alcuna chiamata. Dall’altra parte del filo c’è un familiare disperato e un malato in fin di vita. Il “pronto soccorso dell’anima” si trova nell’elegante quartiere di Recoleta, nel cuore di Buenos Aires. Là, ogni notte, dalle 21.30 alle 6 del mattino, 365 giorni all’anno, festivi inclusi, tre laici e un sacerdote vegliano sul sonno dei 14 milioni di abitanti della metropoli. Pronti a saltare in auto e a correre verso ogni angolo della sterminata capitale argentina per portare il conforto dei sacramenti ai moribondi. Una specie di Croce Rossa spirituale. A quell’ora, normalmente, le parrocchie sono chiuse ed è difficile trovare un prete a cui chiedere di amministrare l’unzione per un infermo, di confessarlo e dargli la comunione. A garantire l’assistenza spirituale d’urgenza è, dunque, il “pronto soccorso” di Recoleta. «Ognuno degli aderenti fa la guardia, come la chiamiamo, una volta al mese. A me tocca il 16. Tutti i 16 del mese, lascio moglie e figli e faccio il servizio ». Alejandro Braceras, 83 anni, voce squillante da ragazzo, è uno dei pionieri del Servicio sacerdotal de urgencia – Servizio sacerdotale d’urgenza –, un’originale forma di volontariato nata 63 anni fa in Argentina. La prima cellula è stata formata a Córdoba. Un anno dopo, il Servizio è arrivato a Buenos Aires. «L’ho visto costituirsi poco a poco. Ero un giovane attivista dell’Azione cattolica – racconta Braceres ad Avvenire –. Un giorno mi chiamò l’arcivescovo Santiago Copello e mi disse che cercava qualcuno a cui affidare il progetto. Mi domandò: “Te ne vuoi occupare tu? Guarda che è un bell’impegno”. A 23 anni, mi sembrava un’avventura entusiasmante. E lo è stata. Anzi lo è».
Mezzo secolo dopo, Braceras, imprenditore in pensione, continua a fare “le guardie”, puntualmente, tutti i 16 del mese. E a controllare i turni. «Ogni notte, devono stare nell’appartamento di Recoleta quattro persone: il sacerdote che impartisce i sacramenti, e tre volontari. Uno fa da autista, l’altro accompagna il prete per questioni di sicurezza, e l’ultimo resta in casa a rispondere alle eventuali nuove chia- mate. Siamo un gruppo di circa 200 persone. Centosessanta hanno un giorno fisso. Se qualcuno, però, la volta assegnata non può, subentra il supplente, scelto nella quarantina restante. Tutti aderiscono volontariamente, anche i sacerdoti – dice ancora Braceras –. La cosa sorprendente è che non abbiamo mai avuto carenza di personale. I giovani continuano, anzi, a chiederci di partecipare». Il presidente del Servizio sacerdotale d’urgenza di Buenos Aires lo sa per esperienza: ha figli e nipoti pronti a vegliare per una notte al mese. «Mi dispiace solo non essere riusciti ancora ad “esportare” l’idea in altri Paesi. Ci abbiamo provato più volte: in Uruguay, il gruppo si è formato ma poi non è andato avanti. Solo in Ecuador esiste un piccolo Servizio. La lettera del Papa ci ha dato slancio per provare ancora… ». Il 27 luglio, Francesco ha risposto al presidente della Federazione dei Servizi sacerdotali d’urgenza, Manuel Martín Sjoeberg, con un messaggio in cui ha esortato i volontari a portare avanti «la missione di assistere con affetto e tenerezza malati e moribondi». Un’importante opera di misericordia in perfetta sintonia – come afferma il Pontefice – con il Giubileo straordinario.
Poiché – ha aggiunto Francesco – proprio sulla misericordia «saremo giudicati» «sapendo che in ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso». «Il Papa ha scritto anche di aver fatto lui stesso parte del Servizio. A Buenos Aires il suo nome non figura. Dunque, deve averlo fatto quando è stato a Córdoba», afferma Baceres.
L’ex imprenditore, ferrato nei conti, si occupa, inoltre, della Fondazione. «Questa è un’istituzione indipendente che amministra i fondi del Servizio, in modo da potersi sostenere. Il piccolo capitale è il risultato di donazioni ricevute nel corso degli anni, con cui abbiamo, inoltre, realizzato una scuola per 450-500 ragazzi e una casa per esercizi spirituali a Pilar, vicino a Buenos Aires. Il nostro regolamento ci impone, invece, di non accettare offerte dai familiari del moribondo che si va ad assistere. Non vogliamo che chi ci chiama si senta in obbligo di “dare qualcosa”. Né che qualcuno non ci telefoni poiché non è in condizioni di fare un’offerta. A chi insiste – e, in genere, devo dirlo, sono i più poveri –, consigliamo di fare un’elemosina alla parrocchia il giorno dopo. Basta che non lo diano a noi: la misericordia è gratis…».
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