Da un paio di settimane, la Sierra Leone è entrata nella stagione delle piogge anche se non ancora con l’intensità di luglio e agosto quando assumono le caratteristiche monsoniche. Quella attuale serve a rendere soffice il terreno e permettere la semina del riso che è l’alimento base della nutrizione locale.
Sul fronte Ebola, i primi tiepidi sorrisi che segnalavano l’avvicinarsi della fine dell’epidemia lasciano in questi giorni spazio ad una legittima preoccupazione. Infatti, dopo che in diversi Distretti il numero di nuovi casi è sceso a zero per diverse settimane; e dopo che a livello nazionale non si erano verificati nuovi casi per una decina di giorni, negli ultimi giorni nuovi casi di infezione obbligano a mettersi in stato d’allerta. Un colpo di coda o la ripresa dell’epidemia? Non si può escludere e bisogna riattivare la guardia e alzare il livello di attenzione. Ce ne vorrà prima che sia finita!
Frattanto continuano a ritmo serrato gli incontri con le 400 famiglie selezionate per il progetto di sostegno emozionale e umanitario. A questi gruppi partecipano i capofamiglia, spesso sopravvissuti al virus essi stessi. Emerge sempre tanta sofferenza, tante storie segnate dalla tristezza e dalla prova. Come quella di Kamara Sheka, ragazzo sedicenne cui l’Ebola ha portato via 23 familiari: una tristezza indicibile stampata sul viso ed una incapacità di uscire da sé per trovare consolazione! O come quella di una madre, Thulla Adamsay, cui l’epidemia ha sottratto tutti i figli! Le storie potrebbero formare un libro da se stesse e aggiungerebbero uno spessore umano all’aridità dei numeri, già eclatanti, di questa epidemia! La pioggia è un simbolo delle molte lacrime di questi giorni, lacrime decorose – spesso – ma anche pianto irrefrenabile e inconsolabile in molte altre occasioni. E, come la pioggia, anche queste lacrime permettono al cuore di non inaridirsi, di non diventare duro ma trasformarsi in terreno fertile capace di nuove ragioni di vita e di speranza.
La sofferenza è una naturale compagna di viaggio in questa terra! La si esterna senza pudore poiché è la vita stessa: non è un mistero da nascondere né un atteggiamento da evitare poiché “politically incorrect”. Sofferenza e morte sono la stessa faccia della gioia e della vita e non il loro contrario. Nelle une ci sono le altre in una forma di continuità e non di opposizione. La vita scorre, in un flusso inarrestabile di nascite e di ritorno alla terra, in cui la morte è un evento naturale che deve succedere e tocca ognuno.
Il flusso vita – morte è ben descritto nell’amore per i bambini, segno di una vita che entra nel mondo e molto spesso simbolo di una fragilità difficile da proteggere (il numero di morti – indipendentemente dall’Ebola – dei bambini sotto i 5 anni è tra i più alti al mondo). Essi appartengono ad un nucleo familiare prima ancora che ai genitori. L’ebola ha fatto tanti orfani ma – di fatto – non ha lasciato nessun bambino per strada, al punto che qualcuno mette in dubbio l’efficacia di aprire degli orfanatrofi (anche quando a modello di piccola famiglia) da parte di ONG straniere. Proprio perché parte di un nucleo familiare, ci sarà sempre qualcuno a farsi carico di un orfano. È la vicenda più commovente di questa Ebola. Zii e lontani parenti che vengono a prendere nipoti rimasti soli; madri che si accollano figli di sorelle e fratelli mori per Ebola, con una naturalezza che va oltre le logiche dei numeri (aumento delle bocche da sfamare!); nuclei familiari che si dilatano a dismisura con frotte di bambini. È il segno della resilienza di questa gente, della capacità di continuare a vivere anche in mezzo a tragedie ed al fallimento.
Fr. Luca Perletti
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