No! Non voglio dimenticare, perché il mio viaggio in Sierra Leone è stato invaso da sentimenti, emozioni, sconcerto e vibrazioni speciali. Tale varietà emozionale, mi ha fatto desiderare di fermare la frenesia della vita per scoprire e approfondire il motivo per cui questi tremori abitavano il mio intimo; mi ha fatto desiderare di fissare il tempo per assaporare la contraddizione e di sospendere la vita per capire la sofferenza. Ho vissuto così tante emozioni come anche tanti momenti di difficoltà che avrei voluto trasformarli in qualcosa di eterno. Ma il tempo passa e più volte ho dovuto affrontare questo mondo consumistico e la sua mancanza di empatia con la sofferenza, quindi voglio ricordare per non distorcere la realtà della vita.
Ogni giorno ho guardato avidamente ogni angolo di Makeni. Ogni mattina, andando al Centro Pastorale per offrire momenti di formazione cercavo di “catturare” immagini con la fotocamera sul mio cellulare perché non voglio dimenticato alcun dettaglio della città.
Non voglio dimenticare le case sigillate perché qualcuno in esse è morto di Ebola e i sopravvissuti non possono lasciare le loro abitazioni durante la quarantena. Non voglio dimenticare i loro sentimenti in questi giorni di isolamento che devono vivere.
Non voglio dimenticare il trambusto della gente in città mentre cerca di vendere un mango o guadagnare qualche monete con il “grande business” dei suoi frutti. Non lo voglio dimenticare ogni volta che andrò in un supermercato per riempire il mio carrello della spesa.
Non voglio dimenticare come mi hanno raccontato dei giorni di “coprifuoco”, dove il caos diventa improvvisamente solitudine, silenzio, dove nessuno può andare fuori ad eccezione di quelli con un permesso speciale e quindi è vietato anche varcare la soglia della porta di casa e se qualcuno lo fa, viene arrestato.
Non voglio dimenticare le informazioni allarmistiche che si sono propagate in Spagna, quando una persona è stata infettata dal virus Ebola nell’ospedale Carlos III di Madrid. Troppo confuse sono state le informazioni sulla trasmissione della malattia. Non voglio dimenticare, perché qui, in Sierra Leone, per informare in molti casi, è necessario stare insieme con le famiglie ad una ad una, perché la comunicazione attraverso la televisione, i giornali, non è né possibile né accessibile.
Non voglio dimenticare i bambini insaponati in una ciotola per la strada con un sorriso aperto alla vita; non li dimenticherò ogni volta che vado in doccia a casa mia … e quei bambini che sono stati nove mesi senza scuola come prevenzione e pochi giorni fa hanno cominciato le lezioni con l’ordine che nessuno tocchi gli altri. È possibile?
Non voglio dimenticare gli sguardi profondi riversati nel mio cuore, mentre fr. Luca Perletti ha guidato l’auto per le vie verso il centro pastorale: occhi pieni di domande, curiosi, insondabili, occhi che sono dentro di me. Sguardi che io ho catturato e sequestrato dai loro volti ed ora custodisco nella mia anima. Sguardi senza volto ora … ma dentro di me. Non voglio dimenticare quegli occhi che riflettevano paure e sogni e speranze universali. A volte qui, in Sierra Leone, non ho interpreto correttamente il loro significato, avevo bisogno di entrare nel silenzio del mio cuore per intuire più profondamente.
Non voglio dimenticare i partecipanti ai corsi di formazione, perché sono quelli che porteranno conforto e speranza per le famiglie con i bambini orfani a causa dello scoppio del virus Ebola, quelle famiglie che guadagnano meno di due dollari al giorno, quelle famiglie che sono in lutto a causa di Ebola, quei ragazzi pieni di paura che ancora sono convinti che Ebola sia uno spirito maligno che li può afferrare di notte. Non voglio dimenticare, né i partecipanti né le loro famiglie, perché esprimo il senso ed il frutto della mia fatica e con loro mi sento una parte viva dell’umanità sofferente.
Non voglio dimenticare fr. José Carlos Bermejo, che si è fidato di me e così sono andata in Sierra Leone, o i religiosi Camilliani come fr. Luca Perletti, o p. Aris Miranda, p. Sam Cuarto, p. John Mosoti, p. Anthony o Anita Ennis e Marco Iazzolino ed anche padre Natalio, i religiosi Saveriani come padre Luis e … Non voglio dimenticarli, perché come ha riferito l’emittente spagnola Cadena Ser, queste persone che lavorano per questa catastrofe umanitaria ed economica, sono il Vero Patrimonio dell’Umanità. Non voglio dimenticarli perché curano le mie paure, guidano il mio spirito, danno un senso alla mia solidarietà e sono un esempio per la mia vita.
No! Non voglio dimenticare che, mentre in Sierra Leone ci sono 72 medici in tutta la nazione, un solo psichiatra e nessun corso di studio di psicologia a cui partecipare di fronti a così tanti lutti e a tanta sofferenza, qui in Spagna abbiamo accesso non solo a cure psicologiche e psichiatriche quando la paura sferra i suoi attacchi contro di noi senza pietà, ma ci sono anche i centri estetici per l’abbellimento del corpo, per sentirsi più giovani o addirittura per trasformare il nostro corpo che invecchia e renderlo più gradevole alla vista, più “best viewed” …
Non voglio dimenticare la povertà della chiesa in cui le ampolle dell’altare sono piccoli vasetti di pomodoro, il vino viene preso direttamente dalla bottiglia o come issopo per la benedizione si usa una scopa con il bastone corto. No! io non dimenticherò questa povera Chiesa che nonostante la sofferenza della “spirito maligno” chiamato Ebola, canta allegramente e balla nelle sue celebrazioni per lodare Dio.
No! Non voglio dimenticare che nel mondo ci sono tante differenze, perché non vorrei che farsi prendere nelle grinfie dell’ingiustizia, se non altro per mettere le parole e ricordare per sempre.
Dott.ssa Consuelo Repiso
psico-sociologa del centro Humanizar
dei Camilliani di Madrid
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