Il carisma è inizialmente donato da Dio ad un fondatore, ma poi si approfondisce, si sviluppa e si rinnova nel tempo nella vita dell’istituto da lui fondato. La formulazione che di esso è stata data nel corso di oltre quattro secoli di storia del nostro Ordine è rimasta pressoché identica: è il carisma della misericordia (miseri-cordis) verso gli infermi (cfr. Formula di vita del 1599 e la Costituzione del 1988, nn. 1-9). Modello esemplare insuperabile è Cristo stesso, che ha dedicato gran parte della sua attività pubblica ad accogliere i malati e a sanare (nel senso duplice di guarire e salvare (cfr. il raccolto dei 10 lebbrosi)) le loro infermità – come testimonianza manifesta della presenza del Regno di Dio nella storia – e che ha comandato ai suoi discepoli di fare altrettanto, unendo alla missione di annunciare il Vangelo, il compito di curare i malati, ritenendo fatto a sé ciò che verrà fatto a servizio dei poveri e dei sofferenti (Mt 25).
Sono molteplici e concordi le testimonianze raccolte nella Positio super virtutum del processo di canonizzazione di Camillo, che mostrano con grande dovizia di particolari, come se di un immenso mosaico si trattasse, quella che potremmo chiamare una spiritualità in atto. Davanti agli occhi del lettore scorrono le diapositive più belle della carità concreta, diligente, creativa, sorprendente, instancabile, trascinante, eroica. La contemplazione di Camillo, infermiere e sacerdote, fondatore e leader di una vera task force per le emergenze, mistico e organizzatore di soccorsi …, rinvia necessariamente ad una spiritualità vissuta, dalle radice ben profonde. Egli è attivo e contemplativo, vede Cristo nel malato e costui in Cristo, desidera il bene integrale delle persone povere e malate e perciò vive appieno il valore del “sacramento” del “bicchiere d’acqua”, la sua contemplazione diviene operosa, e la sua carità si nutre di contemplazione.
Il tribunale ecclesiastico, che ha curato la causa di canonizzazione di Camillo, non disdegna l’aneddotica, illustrativa della tensione caritativa che animava il nostro santo. Un giorno a Porta del Popolo, ritrovò otto raminghi, mezzo morti di fame e di freddo. Li convinse ad andare con lui all’ospedale. Uno di essi per lo sfinimento crollò lungo il percorso. Passava di lì una berlina di lusso, con gentiluomini a bordo. Camillo la fermò, pregando di fare spazio al malcapitato. Quei signori scesero di carrozza e la cedettero a Camillo, che vi fece salire tutto il gruppo.
Sapeva pure diventare aggressivo verso chi deteneva i cordoni della borsa, non dandogli la farina per il pane neppure a pagamento. Il prefetto dell’annona gli disse che il grano del deposito era misurato e non poteva accontentarlo. Camillo alzò la voce: «… Se per questo mancamento i miei poveri patiranno, o moriranno di fame, me ne protesto avanti Iddio e ve ne cito davanti il suo tremendo tribunale, dove si havrete a rendere strettissimo conto”. Monsignore, spaventato, ordinò che gli fosse dato quanto richiedeva».
Il carisma della misericordia verso i malati si specifica, nella comprensione che di esso ha avuto Camillo e nella comprensione attuale nostra (ratificate entrambe dalla chiesa) secondo due direttrici:
- come servizio completo alla persona inferma,
- come “scuola di carità” per coloro che condividono il compito di assistenza agli infermi.
Il servizio completo
I malati che si rivolgevano a Gesù o che a lui venivano presentati, si attendevano la guarigione fisica. Ma è molto di più quanto ricevevano (salute e salvezza): oltre ad essere curati nel corpo, si sentivano accolti e compresi (emorroissa, lebbrosi, cieco Bartimeo), sanati anche dalle ferite interiori del peccato (l’idropico), illuminati dalla fede, reinseriti nella comunità che li aveva emarginati, desiderosi di testimoniare ad altri il loro incontro con Cristo.
Camillo, rinnovando la prassi pastorale del suo tempo, realizza un servizio completo al malato, con attenzione sia ai bisogni materiali che spirituali: «Se qualcuno ispirato dal Signore Dio, vorrà esercitare le opere di misericordia corporali e spirituali secondo il nostro Istituto … sappia che deve vivere … a servizio dei Poveri Infermi, anche se fussero appestati, nei bisogni corporali e spirituali» (Formula di vita). Per realizzare questo approccio globale alla persona del sofferente, egli arruola nella Compagnia laici e sacerdoti, infermieri e teologi e musicisti, nobildonne napoletane e prelati romani, dotti e illetterati: ognuno offre il suo contributo specifico al bene dell’infermo.
Sempre nel desiderio di dare completezza all’esercizio della misericordia verso gli infermi, Camillo precisa che il carisma dell’Istituto non si esaurisce nel prendersi cura dei malati negli ospedali (quello che chiamava il “mare mediterraneo”), ma anche nell’accompagnare e assistere i moribondi, specialmente nelle case private (“il mare oceano” praticamente senza confini). Dava così tanta importanza a questo aspetto della cosiddetta allora “raccomandazione dell’anime agonizzanti”, che in alcuni importanti testi che definiscono il carisma si precisa nettamente che scopo dell’Istituto è «servire i poveri infermi degli ospedali nelle cose spirituali e corporali e anche raccomandare le anime dei morenti per la città» (lettera al Capitolo dell’ospedale Maggiore di Milano, 1594). La stessa precisazione viene fatta per ben tre volte nel Testamento di Camillo: «In più intendo che non si prenda mai cura soltanto dell’assistenza spirituale senza l’assistenza corporale». Ancora vivente Camillo, si dà testimonianza del fatto che in molte città italiane i Camilliani erano già conosciuti con il nome di «Padri del ben morire».
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