di Maria Di Lorenzo
Sopraffatto dalla malattia, Nicola D’Onofrio scriveva nel suo diario: «Voglio morire presto, per volare tra le braccia della Mamma».
A diciassette anni indossa l’abito dei religiosi di san Camillo, cominciando l’anno di noviziato. Al termine di quegli Esercizi spirituali, scrive: «Gesù, se un giorno dovrò buttare come tanti l’Abito santo, fa’ che io muoia prima di riceverlo per la prima volta; non ho paura di morire ora, sono in Grazia tua. Che soave cosa poterti venire a vedere insieme alla tua e mia mamma: Maria!».
Il maestro dei novizi allora esigeva la stesura di un quaderno di appunti che doveva costituire una sorta di diario spirituale. Anche Nicola D’Onofrio dovette scrivere il suo; di questo, purtroppo, molte pagine sono andate perdute, ma qualcosa si è salvato, ed è una piccola fortuna, perché sono appunti che oggi ci permettono di gettare uno sguardo sul suo cammino ascetico e di conoscere le pieghe più intime della sua eccezionale personalità.
Un primo piano di Nicola D’Onofrio.
Sono pagine dalle quali traspare l’amore ardente che il futuro camilliano nutriva per Gesù Eucarestia e, soprattutto, per la Madonna.
Ed è appunto i l 7 ottobre 1961, festa della Vergine del rosario, che Nicola fa la sua prima professione, con i tre voti comuni a tutte le Congregazioni religiose – di povertà, castità e obbedienza – a cui i Camilliani ne aggiungono un quarto: «Servizio agli ammalati e sofferenti, etiam pestis incesserit».
«Se la Madonna mi chiama…». Nicola è entusiasta della sua vocazione ed è ansioso di diventare presto sacerdote.
Da novizio si rivela un infermiere sollecito e premuroso, prima al Forlanini di Roma, poi nella sua comunità. Nel frattempo si è pure iscritto alla Milizia dell’Immacolata, di cui raggiunge il terzo grado, quello dell’offerta senza limiti: donarsi totalmente a Maria, fino al sacrificio di sé più completo.
Verso la fine del 1962, infatti, avverte i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portato alla morte a soli 21 anni. Viene allora ricoverato al San Camillo e gli esami dicono: teratosarcoma. Successivamente viene trasferito al policlinico Umberto I per la cobaltoterapia, decisa dai sanitari nella speranza di circoscrivere il male, e lì il giovanissimo camilliano dà un grande esempio di pazienza nel sopportare i dolori.
La terapia continuata ambulatorialmente sembra sortire un leggero miglioramento, sicché i superiori nel ’63 lo iscrivono alla Pontificia Università Gregoriana. Ma il male era di quelli inesorabili e Nicola non si faceva illusioni. Anche se nessuno gliene aveva ancora parlato apertamente, si era reso conto perfettamente del suo reale stato di salute.
Tutto si vince col rosario. Nicola D’Onofrio aveva visto la luce in tempo di guerra, a Villamagna, provincia di Chieti, il 24 marzo 1943.
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