GALLERIA FOTOGRAFICA DEL VENERABILE NICOLA D’ONOFRIO
di p.Fellice Ruffini
“Giovani di ogni continente, non abbiate paura di divenire i santi del nuovo millennio!”. Lo ha proclamato con forza Giovanni Paolo II la scorsa estate alla sterminata platea della GMG nel mega-raduno di Tor Vergata, invitando tutti i giovani a farsi “sentinelle del mattino” in questa aurora del terzo millennio.
La giovinezza, si sa, è ricca di promesse che a volte deludono, di attese che non portano frutto. Ma in essa, come dice il Papa, ci sono già in nuce tutti i semi e i presupposti della santità. Di una santità giovane, ma non per questo meno sapiente. Non a caso ha proclamato S. Teresina del Bambin Gesù Dottore della Chiesa: una piccola carmelitana morta di tisi a 24 anni, diventata maestra di vita spirituale con la sua “piccola via” oggi conosciuta in tutto il mondo.
Alla vicenda di questa giovanissima santa francese sembra richiamarsi, per singolari affinità elettive, quella di un altrettanto giovanissimo studente camilliano, Nicola D’Onofrio, di cui si è aperto un anno fa presso il Vicariato di Roma il processo diocesano.
“Sono già stati ascoltati parecchi testimoni, circa una cinquantina, e tutti ne hanno parlato bene e sono favorevoli alla sua causa di beatificazione. I tempi, certo, saranno lunghi”, ci ha detto il postulatore, P. Giuseppe Bressanin. Ma tutto ci fa presagire che un tale modello di fede e carità, “una giovinezza giunta in breve tempo alla perfezione”, come si legge nel libro della Sapienza (4, 16), arriverà per forza, anche con i tempi lunghi dei procedimenti ecclesiastici, alla gloria degli altari.
Nicola D’Onofrio vede la luce in tempo di guerra, a Villamagna, provincia di Chieti, il 24 marzo 1943. Era la vigilia dell’Annunciazione. La Vergine del sì avrebbe poi avuto un ruolo non indifferente nella sua vita, nella formazione del suo carattere e della sua spiritualità.
Nella sua famiglia si recitava il Rosario tutte le sere e in genere era proprio lui che lo intonava e dirigeva. A sette anni Nicolino, come veniva affettuosamente chiamato, avverte la vocazione al sacerdozio: vuole farsi prete camilliano. Ma i suoi si oppongono. Dopo un lungo braccio di ferro, nell’autunno del ’55 può entrare nello studentato camilliano di Roma.
Dinamico e gioviale, sempre col sorriso sulle labbra, sincero nel parlare e gioioso nel donarsi, Nicola aveva anche la cocciutaggine tipica della gente abruzzese ed era un ragazzo fisicamente bellissimo, di una bellezza intensa e molto spirituale. A 17 anni indossa l’abito dei religiosi di S. Camillo, iniziando l’anno di noviziato. Al termine degli esercizi spirituali, scrive: “Gesù, se un giorno dovrò buttare come tanti l’Abito santo, fa che io muoia prima di riceverlo per la prima volta; non ho paura di morire ora, sono in Grazia tua. Che soave cosa poterti venire a vedere insieme alla Tua e mia mamma: Maria!”.
Il maestro dei novizi esigeva allora la stesura di un quaderno di appunti che doveva costituire una sorta di diario spirituale. Anche Nicola dovette scrivere il suo; di questo, purtroppo, molte pagine sono andate perdute, ma qualcosa si è salvato, ed è una piccola fortuna, perché sono appunti che oggi ci permettono di gettare uno sguardo sul suo cammino ascetico e di conoscere le pieghe più intime della sua eccezionale personalità.
Da quelle pagine traspare l’amore ardente che il futuro camilliano nutriva per Gesù Eucarestia e, soprattutto, per la Madonna. Propositi e piccole conquiste, tutto è annotato nel suo diario spirituale. Anche i momenti di lotta e di aridità. Ma Nicolino scriveva: “Il demonio si vince stando vicino a Gesù e a Maria coi sacramenti e con la preghiera”.
Il 7 ottobre 1961, festa della B. Vergine del Rosario, fece la prima professione, con i tre voti comuni a tutte le Congregazioni religiose – di povertà, castità e obbedienza – , a cui i Camilliani ne aggiungono un quarto, di servizio agli ammalati e sofferenti, etiam pestis incesserit, oggi tradotto in “sempre, anche con rischio della vita”.
Nicola si era pure iscritto alla Milizia dell’Immacolata, di cui aveva raggiunto il terzo grado, quello dell’offerta senza limiti: donarsi totalmente a Maria fino al sacrificio di sé più completo; e Maria presto gli sarebbe stata guida e maestra alla scuola della Croce.
Verso la fine del ‘62, infatti, avverte i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portato alla morte a soli 21 anni. Viene ricoverato al “San Camillo”; gli esami dicono: teratocarcinoma. Successivamente viene trasferito al Policlinico Umberto I per la cobaltoterapia, decisa dai sanitari nella speranza di circoscrivere il male, dando un grande esempio di pazienza nel sopportare i dolori. “Se è la Madonna che mi chiama, io sono felice di partire…”, confidava a una suora.
San Massimiliano Kolbe amava sostenere che “per volontà di Dio, la devozione all’Immacolata è la sostanza di tutta la santità” (cfr. Scritti 687). E Nicolino, fervente milite dell’Immacolata, non si staccava mai dal Rosario, per il quale nutriva una devozione tutta speciale. Per tutta la vita fu sempre fedele al Rosario quotidiano, che considerava il suo “vincolo d’amore” con la S. Vergine, un amore profondo e filiale.
Accanto al Cristo Crocifisso, paradigma spirituale di ogni camilliano, il giovane chierico coltivava uno specialissimo rapporto con la Madre. Per lui la Madonna era veramente la “Mamma”, e in questi termini si rivolgeva a lei, come un figlio tenero e affettuoso. Sopraffatto dalla malattia, scriveva a un certo punto nel suo diario: “Voglio morire presto, se a Dio piace, per volare tra le braccia della mia Mamma. Voglio andare a riposarmi in Paradiso. Sì…Mammina dolce…Ecco che pian piano il sereno torna nel mio animo e posso mirare più lontano…tutto per voi Gesù, Maria!”.
I superiori lo mandano pellegrino a Lourdes e Lisieux, per impetrare la grazia della guarigione, e Nicolino accetta per obbedienza: in cuor suo sa che è inutile. “Non chiederò la guarigione, ma che io possa compiere in pieno la volontà di Dio”. È il 10 maggio 1964. Il 7 ottobre avrebbe dovuto emettere i voti solenni, ma ormai non c’era più tempo; si domanda perciò alla S. Sede il permesso di anticipare la professione perpetua: il 28 maggio, nella cappella dello studentato camilliano addobbata a festa, Nicolino, ormai in carrozzella, pallido, smagrito e senza forze, dice il suo sì a Dio in eterno.
Aveva riposto tutta la sua fiducia in Maria. Nell’Immacolata aveva trovato la forza di dare tutto se stesso e di offrire le sue sofferenze, donandosi come vittima per tanti fratelli bisognosi di speranza e di salvezza. Aveva compreso e fatto suo ciò che aveva detto P. Kolbe: “Si vive una volta sola, non due. Bisogna diventare santi non a metà, ma totalmente, per la maggior gloria dell’Immacolata, e attraverso l’Immacolata per la maggior gloria di Dio…”.
La sera del 12 giugno 1964, dopo una giornata passata in preghiera incessante, ai presenti riuniti attorno al suo letto Nicola diceva il suo arrivederci all’eternità.
Il suo corpo riposa a Bucchianico, presso la cripta del santuario di san Camillo, meta di continui pellegrinaggi. P. Felice Ruffini, autore del bel libretto Vivere e morire d’amore a lui dedicato, attesta: “I giovani che si accostano alla sua breve esperienza terrena ne rimangono affascinati. Per tutti ricordiamo Marie-Louise, che volendo seguire l’invito di Giovanni Paolo II lanciato a Compostela di “N’ayez pas peur de devenir saints! – Non abbiate paura di divenire santi!”, ci ha scritto di aver deciso di prendere “Nicolas D’Onofrio come modello di vita…cercavo un modello di vita contemporanea e ho trovato nella vita di questo giovane i disegni che ho scelto di seguire poco tempo fa”. Oggi Marie-Louise è entrata in una delle nuove istituzioni di vita consacrata nel mondo, al servizio di Dio nella persona dei fratelli poveri e sofferenti.
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