Anche i Camilliani GIOISCONO per la propria vocazione
e SCRUTANO segni di novità per la loro vita consacrata
Incontro del 29 novembre 2014
Casa generalizia dei Camilliani – Roma
Nel giorno in cui tutta la chiesa si prepara ad inaugurare l’Anno dedicato alla Vita Consacrata – 29 novembre 2014 a Roma con una solenne Veglia di Preghiera nella Basilica di S. Maria Maggiore – anche noi, religiosi camilliani, insieme alle religiose, alle consacrate e ai membri della Grande Famiglia di san Camillo, desideriamo incontrarci per riflettere e condividere le nostre prospettive di vita e i nostri desideri per un rinnovamento della forma della nostra consacrazione in vista anche di una rivitalizzazione dello stile con cui viviamo e testimoniamo il carisma e quindi dello stile dell’animazione vocazionale e della pastorale giovanile con cui vogliamo anche presentarci a coloro che ci frequentano o che semplicemente desiderano vedere come viviamo.
Viene da porsi dunque una domanda molto semplice, forse – per qualcuno – anche scontata: CHE COSA E’ LA VITA CONSACRATA? Tale domanda è propedeutica a quella successiva: COME MANIFESTARE LA NOSTRA CONSACRAZIONE?
La Vita Consacrata è anzitutto Teologia: la Vita Consacrata è la vita stessa del Figlio Gesù; la Vita Consacrata è la ripresentazione della vita stessa del Figlio (non semplicemente o meccanicamente imitare Lui, ma permettere a Lui di prendere possesso della mia vita e in questa mia vita di potersi ripresentare agli altri). La Vita Consacrata non è solo teologica me è teologale: ossia è immersione/partecipazione alla vita stessa del Figlio rispetto al Padre. Vita Consacrata è vivere la vita filiale/cristica.
Papa Benedetto XVI, il 5 dicembre 2005, ai vescovi del Brasile in visita alla Sede Apostolica, ricordava: «l’origine della Vita Consacrata è nella vita stessa di Cristo Gesù: è Gesù il Consacrato del Padre; è Gesù che ha scelto per sé questa forma di vita; quindi non mancherà nella chiesa la Vita Consacrata stessa. L’origine poi ha degli inizi storici particolari, che coincidono con l’esperienza carismatica dei singoli fondatori».
L’esortazione post-sinodale Vita Consecrata usa tre espressioni che dicono l’essenziale della Vita Consacrata: confessio trinitatis (testimonianza della vita divina, di un’appartenenza unica ed assoluta fino all’estremo della vita), signum fraternitatis (segno di una comunione che genera relazioni nuove; frammento di umanità nuova, fermento di umanità nuova), servitium caritatis (epifania dell’amore di Dio per noi, condotti a testimoniare l’essenziale della chiesa stessa, ossia l’agape).
Questo stato di consacrazione è anzitutto uno stato di perfezione che ogni volta e sempre da acquisire: ciò che fa la definitività del nostro stato di perfezione è essere un work in progress, una ricerca permanente, una tensione continua alla perfezione, una ricerca della perfezione che è l’amore.
La fonte della consacrazione non può che essere la consacrazione di Dio che ci rende partecipe della sua santità; definendo quindi uno stato di vita fondato sulla scelta libera e consapevole dell’uomo; uno stato vissuto attraverso i voti (i miei voti vanno ad incedere concretamente e danno forma alla mia vita); uno stato teologale che dice di Dio: amando Dio sopra ogni cosa, il consacrato si dedica a Dio sotto la perenne azione dello Spirito; consegna tutta la propria vita al Padre; perché vive della sequela stessa del Figlio.
Questo stato teologale ci sottrae alla gestione autoreferenziale della vita e ci sottrae anche al livellamento verso il basso (ciascuno secondo la propria capacità, ma ciascuno secondo il dono dello Spirito che sa creare solo bellezza, armonia); uno stato di consacrazione a favore e per il bene della Chiesa. È uno stato non solo PRO ECCLESIA, ma anche IN ECCLESIA, nella misura in cui io partecipo alla vita della chiesa e sono significativa per la vita della chiesa.
La nostra Vita Consacrata diviene così vivente tradizione, trasparenza, memoria della vita che il Figlio ha scelto non solo di fronte agli uomini ma anche e soprattutto davanti a Dio (cfr. Vita consecrata n. 49)!!
Solo in questa prospettiva, il nostro essere consacrati può essere inteso come PROFEZIA! Il profeta nella Scrittura è l’uomo libero davanti a Dio e agli uomini; è l’uomo abitato da una Parola; il profeta porta un annuncio anzitutto alla sua vita: è una parola che trapassa e trasforma la sua ferita; ferisce la sua vita.
Il profeta non è colui che dice cose future: il profeta annuncia anche un evento futuro ma perché parte dalla certezza di fede che questo evento si è già compiuto: il profeta prima che profetizzare qualcosa che verrà, ricorda qualcosa che è già stato: ricorda la fedeltà di Dio; tiene desto il desiderio di Dio; ascolta una parola che non è sua; il profeta interpreta la Parola, perché si è lasciato così tanto abitare da Dio che la sapienza di Dio lo sta inabitando; il profeta sollecita nel popolo la scelta radicale di Dio.
Essere profeti significa permettere che la Parola di Dio possa significare la nostra vita.
La nostra vita è profondamente condizionata, circoscritta, determinata dai consigli evangelici.
La parola di cui siamo portatori è anche una parola di scandalo: di rottura e di frattura. Il profeta è chiamato a reinterpretare la storia e il giudizio sulla storia. La nostra presenza ricorda e sollecita il desiderio di Dio, la radicalità del Totalmente Altro!
Vita Consacrata è SEGNO: in latino segno è qualcosa che viene inciso, tagliato. La mediocrità dovrebbe essere qualcosa di estraneo alla nostra vita: ciò che noi facciamo, diciamo e siamo dovrebbero segnare la nostra vita e l’altrui esistenza. Bisogna fare in modo che ciò che abbiamo professato allora, segni in profondità la nostra vita e definisca sempre di più la nostra definitiva appartenenza (la nostra appartenenza è per il “per sempre”; noi siamo calibrati per il “per sempre”) ma anche in una non definitiva pienezza/incompiutezza di questa appartenenza a motivo del limite, del peccato, della pigrizia (anche la nostra Vita Consacrata partecipa al già e non ancora dell’Avvento del Regno di Dio).
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