Domenico Fantin – Missione Salute Anno XXXV – N.1
Si dice che molti non saprebbero mai adattarsi a una vita di comunità… altri invece si commuovono al solo pensiero di poter creare una rete di solidarietà… tra i due estremi esiste una gamma di reazioni che dimostrano come la nostra società abbia smarrito il senso del vivere insieme o del sentirsi parte di un’identità collettiva.
“la comunità” (o la “famiglia”) nella vita quotidiana – afferma Jean Vanier (filosofo e filantropo canadese) – è fatta di piccoli gesti costanti di un felice stare insieme. È lasciar passare avanti l’altro, è non cercare di dimostrare di aver sempre ragione durante le discussioni, è prendere su di sé i piccoli fardelli”.
Essere “comunità” o “famiglia” vuol dire camminare insieme verso la stessa meta, essere una “cordata” di persone solidali. Esiste il primo della “cordata” che apre la strada, poi gli altri lo seguono e se uno si smarrisce può ritrovare la sua direzione. Ritrovarsi con persone amiche, indirizzate verso lo stesso ideale, è un grande dono. “Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella felicità. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi” (Qoelet 4, 9-10).
Saper ascoltare
È bello condividere momenti di fraternità. Ma è altrettanto vero che a volte è una grande fatica “vivere insieme”: saranno i caratteri, le incomprensioni, le invidie o gli egoismi… tutte “forze” che rischiano di dividere.
Se la vita in comune consiste nell’abbattere le barriere per crescere, è normale che quanti non si sentono integrati, siano anche più vulnerabili. Dietrich Bonhoeffer, nel suo libro Vita Comune, parla dei diversi ministeri necessari a una comunità: vi è quello di tenere a bada la lingua, quello dell’umanità e della dolcezza, quello di saper tacere anche quando si viene criticati, quello dell’ascolto, di essere sempre pronti a perdonare, di dire la verità…
La comunità dovrebbe essere il luogo dell’unione, nel quale sentirsi liberi di dire ciò che si vive e si pensa. Se qualcuno ha timore di esprimersi o ha la sensazione di non essere bene accolto, significa che restano ancora molti passi da compiere. “Nel cuore della comunità ci deve essere un ascolto reciproco pieno di rispetto. Esprimersi non è dire solo quello che non va bene, ma anche ciò che si vive”.
“Amore”, non “devozione”
Possono esservi persone che faticano a trovare un loro posto in comunità o perché sono chiuse in sé stesse, o si sentono non considerate o hanno l’impressione di essere messe da parte. Ciò che deve contare sono le persone e la loro crescita, più che le regole. Queste sì sono necessarie, ma subordinate: le regole sono per la vita delle persone e non le persone per le regole.
La comunità non è una “coabitazione” o un “albergo”, e nemmeno un gruppo di lavoro. È un luogo in cui ognuno si impegna a emergere dalle tenebre dell’egocentrismo e giungere alla luce dell’amore vero. “L’amore non è né sentimentalismo, né emozione – è sempre Jean Vanier ad affermarlo -. È ascoltare l’altro e sentirsi in comunione con lui. È compatire, soffrire con lui e rallegrarsi quando lui si rallegra”.
“L’amore è una potenza unificatrice”. (Dionigi l’Aeropagita).
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