In una delle sue opere, Urs Von Balthasar scrive che, nella storia della chiesa, «lo Spirito Santo tutto d’un tratto mette in luce delle cose giù note, ma sulle quali non si è mai veramente riflettuto». Per spiegare la sua affermazione, egli si avvale dell’esempio di alcuni santi. Prima di san Francesco, egli dice, nessuno aveva capito veramente la povertà di Dio e di Cristo.
Ugualmente, chi, prima di Agostino e Ignazio di Loyola, aveva parlato dell’amore di Dio in maniera così profonda o compreso con tanta precisione l’obbedienza di Cristo al Padre?
Estendendo l’esemplificazione di Von Balthazar, io penso che si possa legittimamente affermare che nessuno o pochi prima di Camillo de Lellis avevano penetrato nel suo significato più profondo la frase evangelica: «Ero ammalato e mi avete visitato».
Ciò non significa che il carisma della carità misericordiosa verso gli infermi sia un’esclusiva di San Camillo. Tale dono, infatti, appartiene a tutta la Chiesa. Se questo è vero, è altrettanto vero, però, che egli lo ha interpretato in maniera originale tanto da essere definito dal Benedetto XIV «iniziatore di una nuova scuola di carità». Per il religioso camilliano, Camillo è, dopo Cristo, il modello per eccellenza del servizio agli infermi. Cosi appare da alcuni numeri della nuova Costituzione camilliana:
-C69: «NUTRIANO AMORE SPECIALE VERSO IL NOSTRO Fondatore San Camillo, ci impegniamo a imitarne l’esempio»
-C44: «Seguendo l’esempio del Fondatore ognuno di noi s’impegna nel ministero verso gli infermi con ogni diligenza e carità, con quell’affetto che suole un’amorevole madre al suo unico figlio infermo, secondo che lo Spirito Santo gli insegnerà»
-C12: «… Seguendo l’esempio del Santo Padre Camillo, c’impegniamo a stimare sempre più, ad amare con tutto il cuore e a praticare con tutte le forze e il servizio ai malati, anche con rischio della vita».
-C13:«Tutta la nostra vita religiosa dovrà essere permeata dall’amicizia di Dio, affinché sappiamo essere ministri dell’amore di Cristo verso i malati. Così si rende manifesta in noi quella fede che in Camillo operava nella carità».
Proponendo l’esempio di San Camillo, la Costituzione si prefigge lo scopo di stimolare ogni religioso a seguire Cristo con Camillo e come Camillo lo ha seguito. Infatti, ogni Fondatore d’Istituto presenta un modello di vita attraverso cui, come Paolo, invita i suoi religiosi ad imitarlo nell’avvenuta personale d’identificazione con il Cristo.
Non vi sono dubbi che il ven. Enrico Rebuschini, che tra pochi giorni Giovanni Paolo II eleverà agli onori degli altari, sia stato un autentico innovatore di San Camillo, maestro di carità.
Ma cosa significa imitare un Santo? si tratta di una domanda legittima, perché nella sua sequela e identificazione a Cristo, San Camillo è per molti versi irrepetibile e inimitabile. Anche quando ci proponiamo di fare ciò che egli farebbe al nostro posto, non possiamo evitare di essere guidati dalla nostra soggettività, cadendo in interpretazioni che non necessariamente corrispondono al vero. Imitando San Camillo, p. Rebuschini non ha ripetuto pedissequamente quanto il Fondatore ha fatto, bensì è rimasto fedele, come San Camillo lo è stato, alla vocazione di servire gli infermi con intelligenza e amore. E questo nel particolare ambito della sua personalità e dei contesti specifici in cui è stato chiamato a vivere e lavorare.
Il punto che unisce San Camillo e il beato Rebuschini va quindi cercato nella perfezione della carità, da essi raggiunta, che ha trovato la sua espressione in una piena dedizione a Dio e al prossimo infermo. San Camillo avrebbe desiderato avere mille vite per metterle a servizio di chi soffre. Nel diario del giovane Enrico leggiamo queste parole: «Consumare l’essere mio per dar ai miei prossimi il possesso di Dio; nelle piaghe di Gesù e nella carità di Gesù vedere i miei prossimi, per esse fare col massimo fervore ogni mia azione». Due cuori, dunque, che hanno saputo amare, due persone però che hanno manifestato la loro carità secondo modalità notevolmente differenziate.
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