La Parola di Dio che ci ha invitato nella precedente riflessione a perdonare le offese, diventa ora premessa necessaria per potere essere capaci di sopportare con pazienza le persone moleste. Una precisazione inoltre sembra necessaria, parlando di sopportazione dei molesti. Mentre nella lingua parlata il verbo ‘sopportare’ ha assunto una colorazione negativa e piuttosto passiva ( un “restare sotto un peso” che non si può evitare), nella sua etimologia greca porta con sé invece un significato attivo e positivo: è uno stare eretto di fronte a qualcuno o qualcosa con fermezza, un portare un peso senza fatica, un tenere fermo resistendo con il coraggio della pazienza. E pazienza è anche capacità di patire. E’ l’attitudine di un forte di fronte al nemico, alle avversità, al dolore. Nella Scrittura, sopportare è innanzitutto proprio di Dio. E’ la storia della pazienza di Dio verso l’uomo e della Sua sopportazione verso il suo popolo “dalla dura cervice”(Dt.9,6-13; Ger.17,23;Ez.3,7). E’ la storia della perseverante fedeltà di Dio nei confronti di un popolo infedele. Pazienza che non è affatto impassibilità, ma “il lungo respiro della sua passione,” un amore che accetta di soffrire attendendo i tempi dell’uomo, la sua conversione:”Il Signore non ritarda nell’adempiere la promessa ,ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano a conversione”(2Pt.3,15). Pazienza che è anche sofferenza di fronte al peccato dell’uomo: “Fino a quando sopporterò questa comunità malvagia che mormora contro di me?” dice Dio a Mosè e Aronne(Num.14,27).” Molte volte trattenne la sua ira e non scatenò il suo furore; ricordava che essi sono di carne, un soffio che và e non ritorna.”(Sal.78,35-39) In Cristo poi, e particolarmente nei giorni della sua passione e morte, la pazienza di Dio raggiunge il suo vertice perché tiene conto della debolezza e inadeguatezza dell’uomo. Pazienza che diventa anche sofferenza di fronte alla durezza del suo cuore:“O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?”(Mc.9,19; Mt.17,17; Lc.9,41) Il cristiano pertanto è chiamato, sull’esempio di Dio e di Gesù nostro maestro, a portare anch’egli sopra di sé il peso dei fratelli. Scrive Paolo alla comunità diTessalonica: “Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo”(2 Ts.3,5); ai cristiani di Efeso:” Vi esorto a sopportarvi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef.4, 1-3); ai credenti di Colossi:” sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro”(Col.3,13). Perdono e sopportazione diventano così elementi identificativi delle prime comunità cristiane. Chiarito il senso molto variegato del verbo ‘sopportare’, è opportuno ora riflettere anche sul termine ‘molesto’, che indica qualcuno o qualcosa che provoca sofferenza, fatica, pesantezza.
Si possono ricordare a questo proposito gli amici di Giobbe, i quali venuti a consolarlo perché oppresso da disgrazie e malattie di ogni genere, lo giudicano colpevole e causa dei suoi mali; mentre lui, certo della sua fedeltà a Dio, li caccia via molto infastidito: “Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti” (Gb.16,2), erano infatti diventati per lui un nuovo peso e una nuova molestia. L’impegno della sopportazione per il cristiano, dovrà incarnare quindi, uno dei tanti volti dell’amore, della carità, che “ tutto scusa, tutto crede, tutto sopporta”; che “non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto”(1 Cor.13,5-7). “Alleggerire i pesi” di una persona o di una comunità, costituirà pertanto un modo geniale e creativo di compiere questa sesta opera di misericordia spirituale. Lo aveva capito bene Paolo, l’apostolo delle genti, quando nella lettera alla comunità cristiana di Roma, nel cuore del Capitolo XII, rivela il segreto più efficace per sopportare le persone moleste, mediante questa preziosa ricetta:“benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite…se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere…non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene”(Rm.12,21), con il sorriso sulle labbra e la piacevole possibilità di intravedere in ogni fratello l’iride meravigliosa degli occhi di Gesù ,e di conseguenza, il volto stesso di Dio.
Qualche riflessione ora sulla pazienza, attitudine indispensabile perché la sopportazione diventi un gesto di amore. Nella tradizione cristiana la pazienza è stata considerata sempre una virtù, perfino “la più grande virtù” (Tertulliano, De Patientia 1,7). Per Cipriano essa è essenziale per la vita cristiana:” Il fatto di essere cristiani è un bene che appartiene alla fede e alla speranza. Ma perché la speranza e la fede possano dare i loro frutti, bisogna avere pazienza”(De bono patientiae, XIII). Gregorio magno lega la perfezione cristiana alla pazienza:” Non è molto forte chi si lascia abbattere dalla iniquità altrui. Chi non sa sopportare le contrarietà, è come se si uccidesse con la spada della propria pusillanimità. Dalla pazienza nasce poi la perfezione. Infatti è davvero perfetto chi non perde la pazienza per le imperfezioni del suo prossimo. Chi si impazientisce per i difetti altrui, ha in questo la prova di essere ancora imperfetto”(Moralia,5,33).
Oggi però la pazienza ha perso molto fascino: i tempi frettolosi spingono all’impazienza, al non differimento, al “tutto e subito”, al possesso che non lascia spazio all’attesa. La lenta maturazione delle cose è sentita come intollerabile, dimenticando un famoso detto che afferma:”Gli alberi che sono lenti a crescere ,portano i frutti migliori”. Il mondo moderno sembra avere dimenticato la virtù della pazienza. Al tempo stesso però, occorre realisticamente riconoscere che la pazienza non è sempre una virtù, così come l’impazienza non è affatto sempre una non-virtù. Una pazienza che inibisca la capacità umana (del singolo come di un popolo) di dire “no” di fronte al perpetuarsi di un abuso, di una violenza, di un sopruso, di uno sfruttamento, è una perversione della pazienza, che diviene complice dell’ingiustizia e non è né umana né evangelica. Occorre per questo ricordare il “diritto alla collera” che osa dire e gridare “basta”, come fa Dio nei confronti delle ingiustizie che imperversano nel mondo e di cui si sono fatti ministri i profeti e come ha fatto Gesù quando gridava le sue invettive contro gli uomini religiosi:” Guai a voi, scribi e farisei ipocriti… serpenti, razza di vipere, come potrete sfuggire alla condanna della Geènna?” (Mt.23, 13-36), o quando scacciava dal tempio i venditori e i compratori rovesciando i tavoli dei cambiavalute: “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio…gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi …”(Gv.2,13-15).In conclusione si può dunque affermare che la pazienza è un arte e una virtù, che non ha nulla a che fare con il subire passivamente. Ricordando anche che l’esercizio di sopportare con pazienza le persone moleste, ci renderà sempre migliori e più forti. Dice un proverbio: “Con la pazienza si arriva a tutto”.
Il cristiano inoltre deve ricordare che, quando è avversato da persone fastidiose o da avvenimenti spiacevoli, si trova nella condizione di partecipare alla croce di Cristo. Per questo è consolato dal Signore. Consolazione che produce in lui la forza della pazienza e accende la speranza, che è la certezza della vita eterna. Si può affermare dunque, che la sopportazione paziente riceve la sua forza e il suo sostegno dalla virtù della speranza, e richiede perseveranza. “Chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvo”(Mc.13,13). Anche di Dio è detto che trattiene l’ira, la punizione, perché è benigno, paziente, e vuole portarci al ravvedimento. Non ci resta quindi che rivestirci , come ci esorta S.Paolo, di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandoci a vicenda e perdonandoci gli uni gli altri”(Col.3,12). Soltanto l’ardente pazienza ci porterà al raggiungimento di una splendida felicità. Khalil Gibran ha scritto: “Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, ho raccolto il frutto della felicità.”Non dimenticando che:”Un momento di pazienza può scongiurare un grande disastro. Mentre un momento di impazienza può rovinare una vita intera.”
Padre Rosario Messina
I Camilliani su Facebook
I Camilliani su Twitter
I Camilliani su Instagram