L’infermo? Ma chi è, perché valga la pena vivere cosi, a suo servizio?
In Camillo de Lellis contestatore riformatore Santo di Germana Sommaruga
Camillo nella sua giovinezza era stato uno spensierato amante delle avventure e del gioco, ma non un disonesto. Giunto al colmo dell’abiezione, non aveva mai perso un alto senso di sé stesso, il rispetto per la propria onestà. In fondo, era sempre stato un uomo retto capace di fedeltà alla parola data, anche quando, purtroppo, era data male. Ora, nel momento in cui aveva visto in sé stesso e si era guardato con gli occhi di Dio, aveva anche scoperto la dignità degli altri uomini. Ecco perché tra tutti, ora poteva “scegliere” gli infermi.
Non sapeva forse neanche lui perché, decidendo di restare in San Giacomo, sceglieva di restare dalla parte dei poveri. Forse proprio perché erano poveri, e lui si sentiva di difendere la loro causa («Liberare gl’infermi dalle mani dei mercenari», Camillo scriverà nelle regole della Compagnia che un giorno prossimo fonderà). Ma c’era qualche motivo più profondo che nasceva dalla sua squisita sensibilità, nascosta sotto la sua scorza ruvida: ed era poter servire e insegnare, ad altri a servire con amore. Il motivo, però, più intimo, quello che andava prendendo consistenza in lui man mano che l’animo suo si andava purificando in risposta alla grazia di Dio, era un motivo di fede profonda: «Servire i poveri infermi, figlioli di Dio e miei fratelli», sono parole che Camillo stesso metterà sul labbro dei giovani che verranno a condividere la sua stessa forma di vita.
Intuizioni, forse, in questi primissimi tempi: poi sarà una conquista piena, e potrà esclamare: «Gl’infermi sono nostri signori e padroni… Miriamo nei poveri e negl’infermi la persona dello stesso Cristo: egli ha detto: Ciò che avrete fatto al più piccolo di costoro l’avrete fatto a me. Questi poverelli e infermi a cui serviamo ci faranno un giorno vedere il volto di Dio». E ancora: «Gl’infermi sono pupilla e cuore di Dio: quello che facciamo all’ultimo di questi poverelli è fatto a Dio stesso».
Ci arriverà un giorno. E sarà santo. Per ora, in questi primissimi passi nell’ospedale, Camillo è l’uomo nuovo che sta via via scoprendo nel fratello che soffre l’impronta di Cristo crocifisso, la grandezza e i valori della persona umana, il significato della vita, dono di Dio, da mantenere acceso fino all’ultimo come qualcosa di grande: anche nel malato condannato, anche nel morente, nell’anziano. E allora il povero, l‘infermo, il moribondo acquisteranno agli occhi di Camillo valore immenso, e sarà bene spesa tutt’una vita consumata per loro. Lui, l’uomo sano e forte, l’uomo padrone di sé, lui che ha davanti tutt’una sua vita, in nome di Dio e per suo amore sarà il difensore dei deboli e dei poveri: il modo più grande di vivere il Vangelo.
È un modo di spendere la sua vita giovane e appassionata. Vale la pena dunque, tentare la nuova avventura della riforma dell’ospedale, o meglio del servizio ai poveri. Per fede. Con amore. Attento a cogliere l’eco che possono avere nel suo cuore le pene e i bisogni dei fratelli morenti e malati e a trovare loro una risposta concreta.
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