In copertina: il contagio che colpì la città di Napoli offrì ai Ministri degli infermi l’occasione di dar prova della loro dedizione agli appestati (Largo Mercatello durante la peste di Domenico Gargiulo 1609/1675)
Una nuova via per il riconoscimento della santità: quella dell’offerta della vita, che si aggiunge a martirio, virtù eroiche ed equipollenza. Lo ha stabilito il Papa nel Motu Proprio Maiorem hac dilectionem pubblicato il giorno 11 luglio u.s. che inizia proprio con le parole di Gesù prese dal Vangelo di Giovanni: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
“Sono degni di speciale considerazione ed onore – spiega Francesco – quei cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed hanno perseverato fino alla morte in questo proposito. È certo che l’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo e, pertanto, è meritevole di quella ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno esercitato in grado eroico le virtù cristiane”. È una strada simile ma non uguale al martirio.
È la condizione di chi accetta l’eroico dono di sé, fino alla morte. Simile al martirio ma senza un «persecutore» che voglia imporre la scelta contro Cristo. Papa Francesco apre la via alla beatificazione di quei fedeli che, spinti dalla carità, hanno offerto eroicamente la propria vita per il prossimo accettando liberamente e volontariamente una morte certa e prematura con l’intento di seguire Gesù.
La quarta via, “dell’offerta della vita”, “pur avendo alcuni elementi che la fanno assomigliare sia alla via del martirio che a quella delle virtù eroiche, è una via nuova che intende valorizzare una eroica testimonianza cristiana, finora senza una procedura specifica, proprio perché non rientra del tutto nella fattispecie del martirio e neppure in quella delle virtù eroiche”.
In concreto il Motu Proprio precisa che “l’offerta della vita, affinché sia valida ed efficace per la beatificazione di un Servo di Dio, deve rispondere ai seguenti criteri:
- offerta libera e volontaria della vita ed eroica accettazione propter caritatem di una morte certa e a breve termine;
- nesso tra l’offerta della vita e la morte prematura;
- esercizio, almeno in grado ordinario, delle virtù cristiane prima dell’offerta della vita e, poi, fino alla morte;
- esistenza della fama sanctitatis et signorum, almeno dopo la morte; e. necessità del miracolo per la beatificazione, avvenuto dopo la morte del Servo di Dio e per sua intercessione”.
Con il Motu Proprio Maiorem hac dilectionem sull’offerta della vita, Papa Francesco ha aperto la via alla beatificazione di quei fedeli che, spinti dalla carità, hanno offerto eroicamente la propria vita per il prossimo accettando liberamente e volontariamente una morte certa e prematura con l’intento di seguire Gesù: «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Giovanni 3, 16).
La via dell’offerta della vita, infatti, assomiglia parzialmente a quella del martirio perché c’è l’eroico dono di sé, fino alla morte inclusa, ma se ne differenzia perché non c’è un persecutore che vorrebbe imporre la scelta contro Cristo. Similmente, la via dell’offerta della vita assomiglia a quella delle virtù eroiche perché c’è un atto eroico di carità (dono di sé), ispirato dall’esempio di Cristo, ma se ne differenzia perché non è l’espressione di un prolungato esercizio delle virtù e, in particolare, di una carità eroica.
Si richiede, comunque, un esercizio ordinario di vita cristiana, che renda possibile e comprensibile la decisione libera e volontaria di donare la propria vita in un atto supremo di amore cristiano, che superi il naturale istinto di conservazione, imitando Cristo, che si è offerto al Padre per il mondo, sulla croce. È chiaro, pertanto, che tutte le vie alla santità canonizzata debbono avere un denominatore comune nella carità, che è “vincolo della perfezione”, “pienezza della legge” e “anima della santità”.
Anche l’offerta della vita, quindi, non può prescindere dalla perfezione della carità, che in questo caso, però, non è il risultato di una prolungata, pronta e gioiosa ripetizione di atti virtuosi, ma è un unico atto eroico che per la sua radicalità, irrevocabilità e persistenza usque ad mortem esprime pienamente l’opzione cristiana. I teologi, poi, insegnano che, in forza della “connessione” tra le virtù, dove c’è un atto eroico di carità non può mancare un corrispondente atto di fede, speranza, prudenza, fortezza e così via.
Colui che sigilla la sua vita con un atto eroico di carità, può essere considerato perfetto discepolo di Cristo e, come tale, meritevole di essere proposto quale modello di vita cristiana, qualora Dio stesso ne garantisca l’autenticità e l’esemplarità mediante la fama di santità, la prova dei miracoli e il giudizio favorevole della suprema autorità della Chiesa.
L’offerta della vita usque ad mortem, finora non costituiva una fattispecie a sé stante, ma, se c’era, veniva incorporata, solo come dettaglio, nella fattispecie delle virtù eroiche, oppure in quella del martirio. È chiaro che questa incorporazione non rendeva giustizia a una vera e, per molti aspetti, toccante espressione di santità. Già papa Benedetto XIV, non escludeva dagli onori degli altari quelli che avevano dato la vita in un estremo atto di carità, come ad esempio, l’assistenza degli appestati che, scatenando il contagio, diventava causa certa di morte.
Con questo provvedimento la dottrina sulla santità cristiana canonizzabile e la procedura tradizionale della Chiesa per la beatificazione dei servi di Dio non soltanto non sono state alterate, ma si sono arricchite di nuovi orizzonti e opportunità per l’edificazione del popolo di Dio, che nei suoi santi vede il volto di Cristo, la presenza di Dio nella storia e l’esemplare attuazione del Vangelo.
In questo nuovo panorama di santità non possiamo non inserire alcune delle pagine più gloriose della storia camilliana: le cronache dell’Ordine ci dicono che sono alcune centinaia i Camilliani che in questi quattro secoli di storia hanno realizzato nella sua interezza il quarto voto di assistere qualsiasi malato ‘etiam pestis incesserit”.
SANZIO CICATELLI M.I. VITA DEL P. CAMILLO DE LELLIS
Cap. 115: Della contagione di Nola dove morirono cinque Sacerdoti de nostri.
«Particolarmente per veder quanto quei buoni servi del Signore stavano in mezzo di tante infermità allegri e contenti non ostante che tutti si tenessero come gia condennati e sententiati alla morte, si come indi a poco gli avenne. Poi che oppressi dalle gran fatiche, storditi dalla gran puzza, e contaminati da quell’aria pestifera si ammalorono anch’essi. Onde non potendo reggersi piu in piedi mandati a pigliare e condotti in Napoli ne passarono a miglior vita cinque di loro, cioe Tomaso Trova Piemontese, Marco di Marco da Bologna, Cesare Vici da Fano, Mattheo Laurino, e Francesco Vitellino Napoletani. Essendo morti con tanta patienza, e fortezza che l’uno con l’altro si essortavano à morire volentieri reputandosi felicissimi d’haver posto la vita per amor d’Iddio, e per la salute de lor prossimi. Anzi fù tanto il lor contento, che il P. Cesare Vici subito ricevuta l’estrema Ontione (come gia havesse cominciato à sentir parte della celeste melodia) cominciò con suavissima voce a cantare Alleluia Alleluia, essendo esso buonissimo musico. Camillo voll’esso di propria mano governargli, e fargli l’Infermiero raccommandando à tutti l’anima, e chiudendo à tutti gli occhi con le proprie mani».
Dal tempo di San Camillo fino all’inizio del secolo scorso, più di 300 religiosi – padri, fratelli, chierici, oblati, novizi – (di cui 15 contemporanei di San Camillo), hanno perso la vita assistendo gli appestati e altri malati colpiti da infermità gravemente infettive. Nel 1994, la Consulta Generale dell’Ordine ha istituito la “Giornata dei religiosi camilliani martiri della carità”, da celebrarsi, ogni anno, il 25 maggio, anniversario della nascita di San Camillo. In quell’occasione il Card. Sodano, a nome del Papa Giovanni Paolo II, in quel periodo ammalato, inviò un messaggio al Superiore Generale dell’Istituto camilliano, compiacendosi per questa iniziativa. “L’eredità della storia e gli impegni attuali – si legge nel messaggio – l’ispirazione originaria e il doveroso adeguamento alle mutate condizioni dei tempi, possono trovare una feconda sintesi in questa ‘giornata della memoria’ e offrire validi motivi di rinnovato zelo nel servizio apostolico e caritativo. È importante che anche nella Chiesa di oggi continui a rifulgere in tutto il suo splendore il carisma camilliano che, mediante il quarto voto, consacra a Dio nel servizio ai malati uomini pronti anche a morire volentieri, quali forti campioni di Cristo e veri cavalieri della sua croce (…). Il pieno ricupero e la valorizzazione di questa preziosa eredità dell’Ordine camilliano – continua il messaggio – costituisce un annuncio particolarmente significativo anche per l’uomo contemporaneo, disposto a credere più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie”.
Chi legge le cronache della morte di questi religiosi non può non rimanere stupito di fronte allo spirito con cui essi rischiavano la vita nel servizio agli infermi contagiosi. Il carisma elargito dal Signore a San Camillo e da lui trasmesso all’Istituto penetrava così profondamente il loro cuore e il loro spirito fino ad operare in essi una profonda trasformazione interiore. A gara essi chiedevano di essere scelti a questa speciale ed eroica modalità di vivere il voto con cui il religioso camilliano si consacra al servizio dei malati anche con rischio della vita. Di alcuni religiosi, del tempo di San Camillo, vittime della peste, un testimone oculare afferma che morirono con tanta pazienza e fortezza che l’un con l’altro si esortavano a morire volentieri, reputandosi felicissimi d’aver posto la vita per amor d’Iddio, e per la salute dei loro prossimi.
E come non restare profondamente impressionati dall’esempio di P. Urbano Izquierdo, della provincia di Spagna, che morì nel 1918, a 28 anni, assistendo i malati di febbre spagnola? Così egli scrive ai novizi di cui era maestro: “Addio miei cari novizi, vado a compiere il mio quarto voto (di assistenza ai malati anche con pericolo di vita), che ho pronunciato nove anni fa e del quale non mi sono mai pentito. L’obbedienza mi manda a lavorare per i nostri cari appestati. Poveretti, con quanta ansia attendono il soccorso dei figli di San Camillo. Per essi vado a lavorare senza stancarmi per alleviare i corpi e soprattutto per salvare le anime fino a quando mi resterà un alito di vita. Se il Signore vuole chiamarmi all’eternità, sia mille volte benedetto. Nella professione religiosa gli ho fatto dono della libertà, e ora della vita che mi ha dato. Se mi chiama al cielo insieme a San Camillo, ci vado felice e mi offro da ora come vittima per il bene dei poveri e amati infermi…”.
Da questi santi religiosi giunge a tutti il chiaro messaggio che l’impegno autentico nella pratica del carisma camilliano implica sempre una morte a se stessi, una disponibilità ad ‘offrire la propria vita’, a consumare le proprie energie nel servizio del malato, disponibilità la cui misura è costituita dall’amore stesso di Cristo.
Cfr. il testo integrale della LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI «MOTU PROPRIO» DEL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO “MAIOREM HAC DILECTIONEM” SULL’OFFERTA DELLA VITA. https://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20170711_maiorem-hac-dilectionem.html
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