Leggendo gli scritti di san Francesco e le testimonianze dei suoi contemporanei raccolte in un volume di quasi tremila pagine, edito in occasione dell’ottavo centenario della nascita del santo, e seguendo le vicende della vita di Camillo si è indotti ad invertire la domanda: c’è qualcosa di inattuale nelle scelte di fondo e negli ideali di vita di questi due santi?
Si potrebbe parlare d’un’inattualità della loro opera intesa però nel senso d’una forza di denuncia contro l’andazzo del tempo. Un individuo interpreta la sua epoca in quanto l’esprime con i suoi modi di vedere ma anche in quanto vi resiste promovendo spinte di rifiuto.
Francesco si colloca in una fase di rinascita economica e culturale del medioevo. Camillo si muove nell’epoca del rinascimento quando gli entusiasmi letterari e la fiducia nell’uomo sono effervescenti. L’uno contrappone all’avidità degli affari e alla seduzione del denaro l’ideale della rinuncia, l’altro all’uomo celebrato nei salotti con poesie e discussioni accademiche l’uomo ignorato e lasciato languire nei tuguri, nelle cantine o nelle soffitte e poi da lui stesso soccorso. È giusto decantare la dignità dell’uomo ma finché esso versa in una condizione di avvilimento non basta esaltarne la grandezza.
Francesco e Camillo, nonostante legati al loro tempo e ad esso debitori, innestano un’inversione di marcia. Da una parte ne assecondano in maniera irriflessa lo spirito di rinnovamento, dall’altra, sorretti da una visione evangelica della vita, lo spingono a conseguenze che l’intellighentia del tempo non ha presagito.
I termini di confronto
Tra Camillo de Lellis e Francesco d’Assisi ci sono affinità di ordine esterno puramente fortuite ed altre di ordine esterno puramente fortuite ed altre di ordine interno. Il fatto che ambedue vengano dall’esperienza del gioco e della guerra, siano dei convertiti, attraversino delle malattie, si trovino alle prese con lo stesso problema di adeguare l’ideale alle situazioni storico-culturale rinunciando in parte alla sua integrità, non sono elementi che di per sé depongono per una loro vicinanza di spirito. Neppure il carattere di radicalità con cui propongono il loro messaggio può essere considerato come qualcosa di loro peculiare.
Il confronto si fa più stimolante non appena si prendono in considerazione gli aspetti attitudinali della loro spiritualità: il crocifisso, i malati, la povertà, la gioia, la fratellanza universale. Non bastano infatti gli espliciti riferimenti di Camillo a Francesco, riconosciuto come modello, per capire se le movenze della sua anima siano di conio francescano. La vicinanza tra i due va cercata soprattutto negli atteggiamenti spontanei, scevri da intenzionali richiami esemplari. Al di là perciò d’una raccolta di dati biografici o episodi letteralmente analoghi, il confronto va spostato nell’hunus da cui sorgono determinate reazioni in risposta a sollecitazioni esterne.
Potrebbe risultare molto utile agli effetti del confronto notare che Camillo è stato iniziato alla vita religiosa nel convento dei Cappuccini in una scuola di inequivocabile spirito francescano. Eppure anche questo particolare, per quanto prezioso, è ancora un dato esterno che non depone per il sentire francescano di Camillo. L’apporto educativo plasma ma non crea la natura. È questa a decidere il tipo di sensibilità d’un individuo. La legittimazione d’un francescanesimo in Camillo può venire soltanto dall’analisi dei suoi ideali e dei suoi sentimenti più che dalla testimonianza dei singoli fatti o detti.
Il confronto, oltre che somiglianze, offre differenze di ordine psicologico e culturale. Intorno alla figura di Camillo s’apre uno scenario tutt’altro che idilliaco come il paesaggio di Assisi dove ha operato Francesco. Da Assisi, sia pure travagliata d guerre, si è trasferiti a Roma nel periodo che intercorre tra il ‘500 e ‘600. È la Roma delle febbri, inondazioni, carestie, pestilente, dei luoghi della disperazione ignoranti dalla storia ufficiale ma messi a nudo da Camillo. La sua grinta è come quella del lottatore tenace ed ostinato là dove invece Francesco rivela un’indole più distesa, pronto al canto come lo può essere un giullare.
Camillo lega la sua vita alla causa dei malati e da questi non si staccherà più. Entrato nell’ospedale non lo lascerà se non con la morte. La sua azione ha un solo orizzonte ed è mossa da un’unica grande passio: la persona del sofferente.
Eppure in lui non c’è un’anima che ripropone il vangelo secondo lo spirito francescano. L’amore di Camillo al malato, la sua attenzione al crocifisso, il suo spirito di povertà e lo stesso suo modo di rapportarsi alla nature si pongono nell’alveo della corrente francescana.
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