L’oratorio della Casa Generalizia dei Camilliani, bello, raccolto, foderato di ritratti e di opere d’arte, ha aperto le sue porte, ieri, al convegno “San Camillo de Lellis e i suoi amici”, per raccontare, nel IV Centenario dalla sua morte (14 luglio 1614), il Santo degli infermi, prima di tutto, ma anche il suo tempo e il fiorire di Ordini religiosi che, tra il Rinascimento e il Barocco, regalò alla Città Eterna una spiritualità nuova, che si tradusse in chiese e capolavori d’arte. Anima e organizzatrice del convegno, Lydia Salviucci Insolera, professoressa alla Pontificia Università Gregoriana, che spiega così l’iniziativa: “Il prossimo è Anno Giubilare per i Camilliani e mi piaceva l’idea di celebrare il Santo e insieme lo sforzo che i Camilliani hanno fatto per conservare al meglio il loro tesoro d’arte. Un esempio da seguire. Infine è un’occasione per approfondire la circolarità di idee nei vari Ordini religiosi tra spiritualità e arte, nel gran fermento romano di quei tempi”.
Il programma del convegno è denso. A fare gli onori di casa, il Superiore Generale dei Camilliani, Padre Renato Salvatore, che parla di San Camillo, un San Camillo inedito, in gioventù gran giocatore, croce di sua madre che lo partorì, novella Santa Elisabetta, a quasi sessant’anni, poi convertitosi e divenuto cappuccino; racconta, Padre Salvatore, di come il Santo degli infermi fosse stato sempre infermo, lui pure. Al punto da essere espulso dall’Ordine dei Cappuccini. L’idea di Camillo, spiega Padre Salvatore, era, all’inizio, di creare un gruppo di laici che assistessero i malati in maniera gratuita, generosa, con spirito di carità. Solo dopo fondò il nuovo Ordine dei Ministri degli Infermi, la cui regola fu approvata da Papa Sisto V, il 18 marzo del 1586. Curava gli altri, senza requie, ma dalla sua infezione al piede non guarì mai. “San Camillo morì, tormentato dal suo dolore al collo del piede e a causa di una forte inappetenza che durò un mese intero. E morì nella stanza accanto a questa – spiega – che era un’infermeria e che ora è una cappella”. Tocca a Felice Accrocca, della Pontificia Università Gregoriana, parlare della spiritualità cappuccina che molto ispirò il Santo abruzzese: “Anche da Generale dei Camilliani – conclude – rimase, nella regola, un Cappuccino”.
Padre Giovanni Grosso illustra le chiese Carmelitane a Roma: San Martino ai Monti e la Transpontina. Chiese che, sicuramente, San Camillo avrà veduto durante i suoi lunghi giri per la città di Roma, alla ricerca di malati da aiutare.
A raccontare la Roma di San Camillo, vista attraverso gli occhi di Ignazio di Loyola, interviene Lydia Salviucci Insolera, che elenca i tanti rapporti esistenti tra il Santo spagnolo e gli Ordini religiosi romani. San Camillo e Sant’Ignazio, però, non si conobbero mai perché Camillo, quando morì Ignazio, aveva appena sei anni e viveva ancora nella casa natia di Bucchianico con i suoi genitori. Ma, giunto a Roma, Camillo studiò al Collegio Romano, conobbe San Bellarmino e, in fin di vita, nell’infermeria della Casa Generalizia, chiese di aver due libri soltanto da leggere: uno scritto teologico di Bellarmino e un piccolo libro di un altro gesuita, Luca Pinelli. Nel simbolo eterno della croce – di colore rosso, la croce tané, la volle fortissimamente San Camillo, anche per distinguersi (parole sue) dai gesuiti – si incontrano i due Santi. “Per i gesuiti meditare sulla Croce – spiega la professoressa Salviucci Insolera – è come fare la terza settimana di esercizi spirituali”. Una verità raccontata per immagini nella Cappella della Passione della Chiesa del Gesù a Roma. I Camilliani la croce rossa la portano, viva, sulla tonaca, in meditazione perpetua. E tanto potente fu quel simbolo, anche sui campi di battaglia, che durò nei secoli e resta fino ai giorni nostri, trasformandosi in una Istituzione. Appunto la Croce Rossa. Per i gesuiti, l’immagine, potente nella sua bellezza, e tradotta in opera d’arte, è importantissima. Non così per i Camilliani, che usano le immagini per dare il buon esempio e per narrare con semplicità le opere del loro Fondatore, come sottolinea la professoressa Emilia Talamo, dell’Università della Calabria.
Molti altri gli interventi, che ben raccontano una Roma vivace, ricca in spiritualità, feconda di opere d’arte, una Roma dove nascevano nuovi Ordini religiosi per portar messe alla Chiesa e dove si piantavano le basi della modernità. L’occasione è ghiotta anche per ammirare il prezioso museo dei Camilliani (il Museo San Camillo de Lellis ndr) e la splendida chiesa della Maddalena.
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