in Missione Salute Anno XXXII, N.6 Novembre – Dicembre 2019
Cristo è venuto a parlarci di morte, allo scopo di dimostrarci che la Vita non può morire: la morte non esiste.
Com’è possibile parlare di morte quando l’argomento di questa pagina è la gioia? Se è cosa evidente che la morte riguarda la materia ed è solo il corpo a morire, non dovrebbero esserci difficoltà ad ammettere che la morte, intesa come generalmente noi la intendiamo, non esiste. Non è forse portatrice di gioia, questa possibilità?
Il dolore per l’assenza visibile di un corpo dovrebbe venire mitigato dalla certezza della reale esistenza dello spirito che lo animava. Di conseguenza, anche la comunicazione dovrebbe risultarne pressoché inalterata nella sua sostanza, seppure diversa nel- la forma.
Ma noi non veniamo educati all’immortalità dello spirito che ci abita, bensì all’illusoria realtà di ciò che vediamo e tocchiamo. Degli innumerevoli sensi sottili di cui siamo dotati, alimentiamo e sfruttiamo soltanto i cinque sensi meglio conosciuti, ignari della ricchezza che va perduta. Soltanto a questi ultimi infatti, deleghiamo il compito di comunicare con l’altro-danoi. Quest’equivoco finisce per convincerci d’essere non altro che un carpo, con l’inevitabile conseguenza che, quando ciò che ci appare come morte arriverà a spegnerlo, saremo convinti che nul1’altro di noi verrà salvato.
Siamo esseri immortali
Chiunque abbia cubito un lutto faticherà a seguire queste considerazioni, che verranno facilmente scambiate per vuote parole, teorie inconcludenti e scontate utopie. Tutto ciò, comunque, ha ben poco a che fare con la fede.
La fede, infatti, ci dice che siamo esseri immortali, ma si riduce a una mera credenza consolatoria se non la si trasforma, con la pratica costante di un ragionamento logico e probatorio, in certezza interiore. Una credenza che dà frutti tangibili e illuminanti.
Ora, il frutto della fede e facilmente riconoscibile, poiché la sua polpa, linfa e pro-fumo si trasformano, in noi, in un senso di pace difficilmente equivocabile e altrimenti irraggiungibile. Un senso di gioia che solo la consapevolezza d’essere “vivi per sempre” può dare.
Purtroppo, noi consideriamo la morte come la massima sicurezza, il rifugio che ci salva dalla responsabilità di una vita, dalla quale ci sentiamo schiacciati e di fronte alla quale ci riconosciamo impotenti, poiché riteniamo erroneamente d’averne il controllo e di essere lasciati soli a gestirlo.
Se soltanto imparassimo ad affidare, nella pratica, la nostra cecità terrena a quella che riconosciamo, in teoria, come la nostra Fonte, ogni paura scomparirebbe, portando con sé ogni illusorio concetto di morte. Come può morire, infatti, ciò che e eterno? La morte diventerebbe soltanto una questione di dolorosa nostalgia, ma non potrebbe essere vissuta come una tragedia.
Se imparassimo a rendere concreta, nella nostra quotidianità, l’idea che abbiamo – che vorremmo avere, che cerchiamo – di una sede sinonimo di autentica fiducia, di affido totale e incondizionato, ci accorgeremmo con immenso sollievo e stupore che la Vita – la Vita vera – abita il nostro cuore e attende, paziente, che noi la riconosciamo e approfittiamo dei suoi frutti ricchi, generosi e inimmaginabili.
Dio e Amore
Se trovassimo il coraggio di affrontare l’orlo polveroso di questo mondo che noi stessi abbiamo creato, scopriremmo che, al di là di esso, esiste una logica superiore, la quale dimostra un assioma inconfutabile: se Dio e Amore – se l’Amore e l’unica realtà -, come può Dio avere creato la morte? Come può sottostare a essa? Possibile che Dio sia meno potente della morte? Può ancora esistere la morte, alla luce di questa verità? La morte è un confine illusorio.
Non e forse questa la lieta novella, fonte di ogni gioia?
Lore Dardanello Tosi
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