«Ciascuno ha un diverso modo di affrontare la morte: c’è chi ha bisogno di prenderne coscienza e chi invece vuole ignorarla, chi sente il bisogno di parlarne e chi non vuole neppure pronunciarne il nome. In ogni malato si alternano poi fasi diverse: alcuni si lasciano andare, altri si disperano, c’è chi si deprime e chi invece si rassegna, chi reagisce con rabbia e chi vuole vivere con pienezza e intensità la sua vita, fino in fondo», scrive Carla Messano, Presidente Avo Lazio.
«In ogni caso, qualsiasi sia la fase e il sentimento provato, se al suo fianco c’è una presenza amica che sia in grado di aiutarlo, rispettando le sue esigenze e dandogli il supporto di cui ha bisogno, per questo essere umano tutto sarà meno negativo». Al volontario, che sceglie di accompagnare il malato nel suo percorso di fine vita, si richiedono particolari doti di sensibilità, forza d’animo, equilibrio. Questo perché, come si legge nel volume, per il paziente in fase terminale l’aspetto relazionale è quello che conta più di ogni altro. Il volontario, quindi, in questa fase diventa un vero e proprio «compagno di viaggio», che mantenendo l’attenzione centrata sulla persona e non sulla malattia, offre «il dono di una presenza delicata e discreta», per rendere quanto più possibile umana la condizione di chi si trova a vivere in uno «spazio di confine».
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