Mario Bizzotto, Vivere la terza età. Ricordi, emozioni, compimento. Edizioni Studium, Roma, 2011, pp.176
L’imaginario popolare pensa alla terza età solo come disfacimento fisico, indebolimento delle facoltà cognitive e affettive, lento ritiro dal mondo, inevitabile declino verso la morte. Contro questi equivoci protestano le analisi più recenti della psicologia, della sociologia e dell’antropologia: la longevità dischiude infatti una forma di vita originale e rilevante, durante la quale si apprende quanto è sfuggito nel tempo del vigore fisico e si riesce a comprendere l’umano per intero. Se il mondo esterno non lusinga più come terreno di conquiste, si apre invece quello interiore, che porta a compimento l’esistenza e a maturazione i suoi frutti: la serenità, l’esperienza del limite, la saggezza, la tolleranza, il senso dell’umorismo.
L’uomo non si afferma solo quando trasforma con la propria azione il mondo esterno: il più grande successo lo raggiunge quando muta e migliora se stesso. Finché si vive si è sempre posti a confronto con un compito, non si finisce di imparare e crescere. A patto che la longevità, nonostante i disagi dell’età che avanza e la salute che si da cagionevole, non sia subita, ma accettata e vissuta come momento per realizzare davvero se stessi. La piena maturità ha bisogno di tempo, di molto tempo, che diventa opportunità unica per chi la sa sfruttare.
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