Celebriamo quest’anno il centenario della morte del beato Luigi Tezza (1841-1923), religioso camilliano e fondatore, insieme a Santa Giuseppina Vannini della congregazione delle Figlie di San Camillo.
Il beato Luigi Tezza (1841-1923) è stato un interprete fecondo ed originale del carisma camilliano della carità verso chi soffre nel corpo e nello spirito.
Le oltre mille lettere che sono state cercate, custodite, classificate, lette e meditate con intelligenza e devozione filiali da parte delle religiose Figlie di San Camillo rivelano nella loro trasversalità che carta, inchiostro e calamaio hanno garantito a p. Luigi un’opportunità di profondo raccoglimento nell’anima, di finalizzazione del pensiero, di condensazione dello spirito, anche se spesso in queste lettere si parla di cose semplici, di affari normali, di eventi ordinari, di relazioni quotidiane, di problemi e di incombenze di varia natura.
L’ordinarietà, intrisa di gioie e dolori, di progetti e di sogni e di inevitabili tensioni e sfide, diventa, nello stile di p. Luigi Tezza, un locus theologicus, un luogo rivelativo della sua percezione della Provvidenza di Dio, testimonianza di una fede sincera ed aperta alle permanenti, e spesso sconvolgenti, novità del Signore; di una speranza infrangibile anche se immersa continuamente nella prova; di una carità sempre generosa, attenta e raffinata nello stile con cui veniva esercitata.
La sua esistenza è stata un lungo, movimentato, autentico pellegrinaggio per la missione.
Dei suoi 82 anni di vita, infatti, 42 li trascorse in Italia, 19 in Francia e 23 in Perù: a Verona e a Roma, il ministero della formazione; in Francia la fedeltà e la creatività al carisma camilliano; l’autorevolezza della guida, ai vertici dell’Ordine camilliano; l’umiltà del servizio samaritano e del ministero della consolazione in ospedale, ‘suo vero paradiso in terra’; la fondazione delle Figlie di San Camillo e l’intuizione del ‘genio femminile’ per servire con cuore materno i malati e per testimoniare il ‘vangelo della Vita’ ai poveri e ai sofferenti; la missione a Lima (Perù) dove dolcezza e fermezza, comprensione e confronto hanno riattivato l’antico ardore del carisma camilliano, offrendo nuova credibilità al ministero ospedaliero e all’apostolato domestico dei ‘padri del bel morire’.
La traiettoria esistenziale che viene tracciata – dal di dentro – in questo epistolario lascia emergere, a chiare lettere, un’identità trasparente e travolgente:
- del suo tempo – p. Tezza ha dato anima ad ogni incontro, facendosi interpellare dalle situazioni anche estreme della ‘grande’ storia nazionale italiana e francese di fine ‘800, ma anche da ogni ‘piccola’ e preziosa storia individuale;
- della terra dove di tappa in tappa ha vissuto, come fosse da sempre figlio di quel paese e di quella cultura, secondo la logica umile e sofferta dell’incarnazione;
- dentro l’Ordine camilliano, prima, dentro la congregazione delle Figlie di San Camillo, poi, e più in generale dentro la Chiesa, strutturando una sua appartenenza personale, segnata da grande dolcezza e insieme da una fedeltà docile ed obbediente ai superiori e ai Pastori, ma anche da una intraprendenza ministeriale e progettuale determinata, continuativa, duttile e resiliente.
L’epistolario come un grande prisma rivela un’esistenza poliedrica e sfaccettata che si piega, di volta in volta, docilmente alla forza della storia quotidiana ma che trova sempre la sua forma primigenia e la sua unità profonda tra la vita e la professione di fede, tra il maestro di virtù e il testimone profetico della misericordia del Signore.
In tale coerenza, sta il segreto del fascino che emana dalla sua figura: tale connessione ha il suo nome in quella che san Tommaso d’Aquino chiama ‘credibilità’. Egli lo diceva della stessa predicazione di Gesù: «Praedicatio Christi facta erat credibilis per miracula» (Super Io, cap. 1 l. 15). Parole pronunciate con la bocca e gesti compiuti con la vita, dunque. È questo che rende testimoni. Scriveva sant’Ignazio di Antiochia: «È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e ha detto e ha fatto e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre» (Ef, XV, 1).
Come la vita, anche la santità è un cammino. Nessuno nasce santo! P. Tezza è stato un uomo in cammino per la sua fede e tra le righe vergate dalla sua penna emergono le salde coordinate di fondo di questo itinerario.
- In mezzo al turbinio di esperienze e di lavoro, fin da giovane, è riuscito ad unificare la sua vita grazie al filo d’oro di una ricca spiritualità.
- Nell’abbandono al Signore e alla sua volontà, nell’esperienza del dolore che lega la persona umana alla croce di Gesù, espressione universale di ogni altra forma di sofferenza, p. Tezza ha visto la via maestra per unirsi a Cristo, per morire a se stessi e per imitarlo nel suo Amore.
- L’unione con Cristo crocifisso trova la sua fonte nella devozione al Cuore di Gesù che, in p. Luigi, fa sintesi della sua teologia, della sua cultura, ma si appella anche alla sua dimensione affettiva e spirituale. Nel Cuore di Gesù egli trova consolazione e in questa dimensione avviene l’incontro più empatico con i corpi sofferenti che egli tocca e con le anime tormentate che egli sfiora per consolarle.
- La dimensione mistica del suo pragmatico e performante servizio ai malati lo ha reso un contemplativo nell’azione: organizzatore realista ed audace, leader autorevole capace di motivare decisioni impegnative ha sempre trasfigurato, ad imitazione di san Camillo, il servizio concreto prestato ai confratelli, ai superiori, alle religiose, ai malati, in un atto di culto reso a Dio.
Credo nasca da qui la profetica attualità dell’esistenza di p. Tezza: la cura, l’attenzione, la prossimità, rendono la prova, la sofferenza, il bisogno un luogo ed uno spazio dove porre un segno e un annuncio di umanità per tutti; indicando la profezia del quotidiano, con il farsi prossimo a chi porta il segno e il senso della fatica del vivere!
Se per la sua scelta di vita, le lettere di p. Luigi parlano in modo particolare alle persone consacrate, il suo messaggio si rivela ugualmente propositivo per tutti i cristiani e gli uomini e le donne di buona volontà, in particolare se impegnati nel mondo della malattia e della salute.
Sono un invito a mantenere viva e calda la propria umanità, ad accogliere, proteggere e rispettare la vita e in modo particolare la vita fragile e vulnerabile, a trovare nel dono consapevole e generoso di sé la ricompensa stessa delle proprie scelte, azioni e fatiche. A diventare consapevoli che una sola è la risposta all’amore di Dio: il Bene fatto bene!
- Gianfranco Lunardon
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