Luciano Sandrin – camilliano
Tra le varie dimensioni che caratterizzano il rivelarsi di Dio nella Scrittura, quella della compassione esprime in maniera significativa il suo particolare amore verso di noi. In rapporto a tutte le metafore che la Bibbia utilizza, il «farsi vicino» all’uomo da parte di Dio è costantemente descritto come «com-passione», nel senso più profondo della parola, un «lasciarsi commuovere» dall’altro e partecipare in profondità alla sua esperienza. L’uomo, nella sua condizione di fragilità, debolezza e vulnerabilità è il luogo per eccellenza della compassione di Dio, provoca il suo intervento. Dio prova compassione per il suo popolo, si commuove, si impegna per la sua liberazione (Es 3,7-10).
La compassione del samaritano
«Chi è il mio prossimo?». È questa la domanda che un dottore della legge, un esperto di cose sacre, rivolge a Gesù chiedendogli di esemplificare l’invito-comando «amerai… il tuo prossimo come te stesso» (cf. Lc 10,25-37). Gesù non fa un lungo elenco di possibili candidati a diventare il prossimo da amare. Racconta la parabola del Buon Samaritano, facendo capire che il problema non è tanto quello di definire in anticipo chi è il prossimo da amare, quanto piuttosto come farsi prossimo al bisognoso che non t’aspetti (quello che incrocia la strada della tua fretta e dei tuoi impegni), lasciandosi commuovere e fermare dal suo dolore. Gesù ha fatto del samaritano un esempio da imitare.
Il samaritano è colui che si è fatto misericordia per l’altro e può quindi rappresentare pienamente Dio che in Gesù si è fatto misericordia e compassione per noi: si è lasciato toccare nel cuore e ha condiviso la nostra sofferenza. La parabola narrata nel vangelo di Luca è un invito al fare: alla domanda dello scriba che cosa debba fare per avere la vita eterna Gesù risponde che bisogna fare quello che ha fatto questo Samaritano. La compassione non è semplice aver pietà dell’altro, né si ferma all’empatia, ma si fa prossimità, azione, relazione, cura, e in questo fare esprime la sua piena verità.
Nella relazione pastorale la compassione può essere assertiva, definire confini, essere onesta e non disposta a dare agli altri ciò che vogliono ma piuttosto ciò di cui hanno veramente bisogno. E non crea dipendenza. Il ferito ritrova proprio nella relazione d’amore del samaritano la sua libertà. Ma anche il samaritano, dopo aver prestato soccorso, aver portato la persona ferita in albergo ed essersi preso cura di lui, e aver assicurato all’albergatore la copertura economica dell’ospitalità al suo ritorno, continua la sua strada. Nessuna persona che aiutiamo deve diventare così «nostra» da impedire a lei e a noi di continuare a percorrere la propria strada. Se siamo abbastanza liberi e abbastanza forti possiamo aiutare gli altri senza allontanarci dalla nostra strada, farci prossimo all’altro senza dimenticare di farci prossimo a noi stessi, aver cura e compassione dell’altro ma anche di noi stessi.
Chiesa samaritana
Va’ e anche tu fa’ lo stesso! non è rivolto, però, solo alle singole persone, che lo possono fare con professionalità e amore, ma è compito dei gruppi e della comunità intera. La compassione deve caratterizzare la pastorale (l’agire e l’inter-agire) di tutta la comunità. La parabola del Buon Samaritano è stata letta, preferenzialmente, come modello per l’agire del singolo cristiano, dimenticando che farsi prossimo è una missione per tutta la comunità ecclesiale. È la Chiesa tutta che, in modo particolare, è chiamata a continuare l’opera di Gesù buon samaritano. La compassione del buon samaritano deve incarnarsi nell’agire di una «chiesa samaritana», di una «chiesa ospedale da campo» – secondo le parole di papa Francesco – capace di curare le ferite, di prossimità e di riscaldare il cuore dei fedeli.
La comunità cristiana ha il compito «con-solante» di narrare nei suoi gesti di vicinanza, di cura, di consolazione e di speranza il Dio compassionevole che annuncia nel vangelo, di essere trasparenza del volto materno del Padre. Per colui che soffre, la compassione di Dio prende corpo, il più delle volte, nel nostro amore: viene espressa nella nostra cura e nelle nostre parole. E nell’amore all’altro testimoniamo Dio. Ce lo ricorda Benedetto XVI nella Deus caritas est: «l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore (cf. 1Gv 4,8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare» (n.31). Ed è l’amore che può mitigare la solitudine di chi soffre, la migliore «con-solazione» (Spe salvi, n.38).
La comunità cristiana è chiamata a «fare memoria» della compassione di Gesù verso le persone più fragili, del suo comando di annunciare l’amore di Dio e di prendersi cura dei molti feriti che incontra sul suo cammino: opere di misericordia, vecchie e nuove, nelle quali Egli si rende ancora oggi presente, come beneficiario e come benefattore.
La comunità cristiana è chiamata a riscoprire la pastorale, nelle sue varie forme espressive come «com-passione»: capacità di condividere, in una “fedeltà sponsale”, le esperienze degli altri ‑ nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia – di condividere i doni ricevuti e di farsi compagna del loro viaggio nella vita. E in questo può esprimere il cuore grande di Dio verso i poveri (“miseri-cordia”) e una forma autentica di teodicea pastorale.
Per approfondire:
Sandrin L., Aiutare gli altri. La psicologia del buon samaritano, Paoline, Milano 2013.(trad. sp. Ayudar a los demas. La psicologia del buen samaritano, Sal Terrae, Maliaño – Cantabria 2014).
Sandrin L., Lo vide e non passò oltre. Temi di teologia pastorale, EDB, Bologna 2015. (trad. sp. Teología pastoral. Lo vio y no pasó de largo, Sal Terrae – Centro de Humanización de la Salud, Maliaño/Cantabria – Madrid 2015).
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