San Camillo de Lellis
Tratto dal libro: RITRATTI DI SANTI di Antonio Sicari ed. Jaca Book
Con la tenerezza di una madre
In quel luogo, per trent’anni lavoreranno Camillo e i suoi amici divenendo pian piano una nuova congregazione religiosa: l’Ordine dei Ministri degli Infermi.
Per essi l’ospedale era tutto, e nel servizio iniziarono a lasciare il segno del carisma che Camillo andava trasmettendo ai suoi: la qualità carismatica della tenerezza.
Non era infatti inusuale incontrarlo nelle corsie in atteggiamenti di vera e propria adorazione dei malati, tanto era il rispetto che ne aveva. Un testimone riferì di averlo visto “stare ingenocchiato vicino a un povero infermo ch’aveva un così pestifero e puzzolento canchero in bocca, che non era possibile tolerarsi tanto fetore, e con tutto ciò esso Camillo standogli appresso a fiato a flato, gli diceva parole di tanto affetto, che pareva fosse impazzito dell’amor suo, chiamandolo particolarmente: Signor mio, anima mia, che posso io fare per vostro servigio? pensando egli che fosse l’amato suo Signore Giesù Christo...” (dagli Atti di canonizzazione).
La sua scuola: cuore e intelligenza
Quando la sera tornava in convento, chiamava i suoi frati in capitolo, metteva un letto in mezzo alla sala, ammucchiava materassi e coperte, chiedeva a uno di distendersi, e poi insegnava agli altri come si rifaceva un letto senza disturbare troppo il malato, come si cambiava la biancheria, come bisognava atteggiare il volto verso i sofferenti. Poi li faceva provare e riprovare.
Ogni tanto gridava: ” Più cuore, voglio vedere più affetto materno ” Oppure: ” Più anima nelle mani “.
Camillo, illetterato e capace di accedere all’Ordinazione sacerdotale solo per i meriti acquisiti “sul campo”, divenne – di fatto – il fondatore della assistenza infermieristica, la cui testimonianza ci è lasciata nelle “Regole per ben servire i malati” (Archivio di Stato di Milano), una preziosa testimonianza di tecniche infermieristiche finalizzate al benessere del malato.
L’esperienza dell’Ordine Camilliano
Pian piano andavano aumentando i giovani che desideravano condividere la sua vita. Camillo ebbe così la possibilità di “occupare” altri ospedali.
Giunse fino a Napoli, Genova, Milano, Mantova. Anzi, fu proprio a Milano dove scoppiò la dura questione degli ospedali. Camillo di testa sua, senza consultarsi con nessuno, colse l’occasione propizia per farsi affidare tutto l’ospedale, per curare cioè non solo l’assistenza ai malati ma l’intera gestione materiale di tutto.
Per Camillo qualunque cosa riguardasse anche lontanamente i suoi poveri, gli ammalati, era sacra e da accogliere.
Ormai prossimo al termine della sua vita, Camillo si ritrovò con quattordici conventi, otto ospedali (di cui quattro sotto la sua completa responsabilità) e con 80 novizi e 242 religiosi professi.
Il testamento
Morì a 64 anni, non senza aver dettato il suo testamento per lasciare in eredità tutto se stesso. Il testamento è una totale e minuziosa consegna di se stesso:
“Io Camillo de Lellis… lascio il mio corpo di terra alla medesima terra di dove è stato prodotto.
…Lascio al Demonio, tentatore iniquo, tutti i peccati e tutte le offese che ho commesso contro Dio e mi pento sin dentro l’anima… Item lascio al mondo tutte le vanità… Item lascio et dono l’anima mia e ciascheduna potestà di quella al mio amato Gesù e alla sua S, Madre… Finalmente lascio a Giesù Christo Crocefisso tutto me stesso in anima e corpo e confido che, per sua immensa bontà e misericordia, mi riceva e mi perdoni come perdonò alla Maddalena...”.
Rappacificato con la vita, spirò il 14 luglio 1614.
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