Inauguriamo oggi una nuova rubrica riguardante il mondo della salute con una particolare attenzione alle cure palliative.
Il termine palliativo prende origine dalla parola latina pallium (mantello), indumento utilizzato nelle giornate fredde per proteggersi dai rigori del clima: per questo, le Cure Palliative sono “avvolgenti”, globali, olistiche e non – come talvolta si è portati a credere – di “facciata”, inefficaci e – quasi – un placebo. Le Cure Palliative hanno, infatti, uno spessore scientifico e sono a buon diritto parte dei servizi di salute pubblica integrando le attività di prevenzione, cura attiva e riabilitazione, con il lenimento del dolore e della sofferenza.
Le Cure Palliative hanno inizio formale con la Dr.ssa Cicely Saunders (1918 – 2005), infermiera e medico inglese che svolse la sua professione accompagnando i malati nella fase terminale della loro vita. La prossimità al malato che le derivava dalla professione infermieristica e le conoscenze cliniche, frutto della sua competenza medica, la portarono a sviluppare la teoria delle Cure Palliative, quale approccio terapeutico dove la cura attiva della malattia cessava di avere alcun significato e prospettiva di guarigione. La Saunders intravvide negli Hospice il luogo deputato per la realizzazione delle sue teorie e contribuì alla loro nascita con l’apertura del St. Christopher Hospice a Londra. Da qui in avanti, le Cure Palliative sono diventate un fenomeno in continua espansione a tutte le latitudini e in diversi contesti culturali, ancorché rallentato – soprattutto nei primi tempi – da pregiudizi, culturali e religiosi, da resistenze della scienza medica, e dalle specifiche condizioni sociologiche proprie di alcuni Paesi.
Non posso essere considerate come cure attuate nella fase che precede la morte, di cui rappresentano l’ineluttabile sentenza. In considerazione del fatto che sono in continuità con le cure attive (continuum care, per dirla all’inglese) esse possono avere inizio in una fase di gran lunga precedente l’apparire dei sintomi di terminalità della malattia: infatti poiché rappresentano una presa in carico globale della persona ed un sollievo di tutti gli aspetti della sua sofferenza, esse dovrebbero essere affiancate alle terapie attive già a partire dalla diagnosi di malattia oncologica e soprattutto nel prosieguo del percorso di cura. Nel 2013, un vasto raggruppamento di Associazioni e Società Mediche Italiane ha condiviso un documento per l’applicazione delle Cure Palliative negli specifici ambiti di competenza. In sintesi, il Documento identifica le condizioni che qualificano il malato a ricevere le Cure Palliative; estende le Cure Palliative ai malati affetti da malattie cronico – degenerative inguaribili e suggerisce un precoce approccio palliativo, attraverso l’erogazione simultanea delle Cure Palliative e delle cure specialistiche mirate alla riduzione della malattia di base (di nuovo, all’inglese, simultaneous care).
Le Cure Palliative sono equidistanti da eutanasia e accanimento terapeutico. Attraverso le Cure Palliative, si supera la polarizzazione insita nella tentazione di porre fine ad una sofferenza considerata “senza senso” o – al contrario – in quella di voler a tutti i costi combattere la malattia fino a debellarla. Nelle Cure Palliative, infatti, l’obiettivo non è più la malattia da diagnosticare, monitorare e curare ma la persona di cui prendersi cura o, meglio, da assistere, da “avvolgere” di attenzioni (qui ci viene in aiuto la distinzione della lingua inglese tra cure = cura attiva e care = prendersi cura ). Per raggiungere questo obiettivo, si adotta un approccio basato sulla proporzionalità ed appropriatezza degli interventi, “pianificando specifici e più adeguati percorsi clinici – assistenziali paralleli […] con il coinvolgimento del malato e dei suoi familiari […]”[1].
Cosi facendo, la tradizionale prospettiva medica segna il passo. Il malato, provato dall’esperienza della malattia e della sofferenza, è messo al centro e lo sguardo passa dall’organo alla persona, dal particolare al generale. Il singolo valore biochimico, i segni e sintomi contano in tanto quanto permettono di assicurare il benessere generale della persona. Per questa ragione, le Cure Palliative affrontano mediante protocolli terapeutici validati il controllo dei sintomi. Essi influenzano la qualità della vita della persona al punto che spesso il malato la vorrebbe ridurre anziché dover sopportare il malessere di molti sintomi oppressivi e refrattari alle cure. La scienza offe molte risorse per una cura sintomatica e il loro appropriato e proporzionato uso può migliorare la qualità del tempo che la persona si trova a vivere. Un approccio tecnicamente adeguato alla cura dei sintomi richiede continuo aggiornamento; accurata attenzione e osservazione; dettagliata raccolta dei dati e la loro analisi; capacità di lavorare in gruppo e di condividere le osservazioni ed esperienze; infine, vicinanza alla persona al fine di guadagnarsi la sua fiducia e stima.
Nelle Cure Palliative, allora, competenza tecnica e relazione vanno di pari passo, perché esse possono garantire quel “di più” di senso che non cessa di esserci anche nella fase terminale di una malattia inguaribile. Solo così le Cure Palliative contribuiscono al loro ruolo di umanizzazione della medicina!
[1] Vedi, SIAARTI “Gravi insufficienze d’organo ‘end stage’ …..”, Premessa
Luca Perletti
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