Lo scorso 28 agosto, l’opinione pubblica mondiale è rimasta scioccata della notizia riguardante 71 profughi, tra cui quattro bambini, rinvenuti già cadaveri nel cassone di un camion frigorifero abbandonato lunga una strada in Austria.
Il 2 settembre, l’immagine del piccolo corpicino di Aylan al-Kurdi – 3 anni – che galleggiava annegato sulla spiaggia, nel tentativo di raggiungere la Grecia dalla Turchia insieme con la sua famiglia di origine siriana, ha provocato una rinnovata sensibilità pubblica verso i rifugiati. Questi sono solo alcuni tra i tanti drammatici eventi che hanno segnato il destino dei migranti e dei rifugiati e che rimarranno sconosciuti alla maggioranza dell’opinione pubblica occidentale. Secondo l’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), a partire dal gennaio 2015, 38 milioni di persone sono fuggite dai propri paesi segnati da conflitti e da guerre; mentre nell’anno 2014, circa 19 milioni di persone sono state sfollate a motivo di eventi climatici catastrofici. Sono classificati come rifugiati per motivi politici, economici e climatici. Tuttavia, al di là di tutte le classificazioni, queste persone sono prima di tutto esseri umani portatori del diritto a vivere con dignità.
Di fronte a questa situazione disumanizzante, rispondendo all’appello di papa Francesco rivolto a tutti noi, operai nella vigna del Signore, vorrei semplicemente far risuonare il suo messaggio proclamato nell’Angelus di domenica 6 settembre u.s.
«Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura».
«Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma».
Conoscendo l’urgenza della situazione e la necessità di una risposta efficiente, papa Francesco recentemente ancora una volta si è appellato ai membri del Congresso degli Stati Uniti d’America esortandoli con queste parole: «Il nostro mondo sta fronteggiando una crisi di rifugiati di proporzioni tali che non si vedevano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questa realtà ci pone davanti grandi sfide e molte dure decisioni. Anche in questo continente, migliaia di persone sono spinte a viaggiare verso il Nord in cerca di migliori opportunità. Non è ciò che volevamo per i nostri figli? Non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero, ma piuttosto vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie, tentando di rispondere meglio che possiamo alle loro situazioni. Rispondere in un modo che sia sempre umano, giusto e fraterno. Dobbiamo evitare una tentazione oggi comune: scartare chiunque si dimostri problematico. Ricordiamo la Regola d’Oro: «Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te» (Mt 7,12)».
Come popolo di Dio, siamo chiamati a vivere e ad incarnare la maternità della Chiesa soprattutto in questo momento di crisi dalle proporzioni ancora sconosciute. Siamo chiamati come chiesa pellegrina (ecclesia viatorum) ad accompagnare coloro che sono nella sofferenza e nel bisogno con pazienza, con la nostra preghiera e con opere concrete di misericordia. Come membri della grande famiglia di san Camillo, siamo sfidati a condividere la misericordia di Dio con coloro che sono nel bisogno come una «madre cura il suo unico figlio malato». Lasciamoci sempre salutarmente provocare dalla pericope evangelica che san Camillo ha letteralmente incarnato con tutta la sua vita: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25, 35-36)». «Va’ e anche tu fa’ così (Lc 10,37)».
Questa crisi non esige né alcun nostro obbligo legale/formale, né la difesa della sovranità del nostro territorio dall’invasione di questi popoli in fuga. Piuttosto, come potremmo rispondere – secondo relazioni plasmate dal diritto e dalla giustizia, come in una sola famiglia di figli di Dio – a questo massiccio esodo di uomini e donne indotto da conflitti e da calamità naturali? Se le persone sono costrette ad abbandonare la patria a causa di minacce reali per la loro vita e la loro dignità, questi uomini e queste donne possono vantare nei nostri confronti una pretesa morale per la loro cura ed accoglienza. Se noi ci potessimo calare nei panni di questi nostri fratelli e sorelle profughi, potremmo intuitivamente capire che la solidarietà offre un senso alla nostra storia personale e comunitaria e all’esistenza di coloro che sono più vulnerabili e bisognosi. È motivo di grande gioia e soddisfazione conoscere ed informare che alcune province (Austriaca, Nord-Italiana e Siculo-napoletana) sono già coinvolte in questa emergenza, rispondendovi con iniziative concrete, con l’offerta di ospitalità a queste famiglie in fuga.
La situazione ci invita a non farci prendere dal panico, né a coltivare preoccupazioni di grave minaccia per la sicurezza del nostro paese. Piuttosto, siamo invitati a riflettere e a discernere le immense potenzialità del nostro carisma, come dono alla Chiesa. La Consulta ha riflettuto su questo tema durante il recente incontro del 29 settembre u.s. ed incoraggia tutti i confratelli ad agire secondo lo spirito di squadra.
Mi permetto solamente di evidenziare alcuni atteggiamenti:
- la situazione è molto complessa, ma confidiamo nella saggezza dei nostri leaders politici che stanno cercando di individuare strategie globali per affrontare questa emergenza;
- cercate di individuare e cooperare con le iniziative della vostra chiesa locale (diocesi, parrocchia) e con le agenzie governative locali preposte all’emergenza;
- dibattete il tema a livello di Provincia religiosa, Delegazione (attraverso la mediazione del Consiglio) e Comunità locali;
- offrite ospitalità ai rifugiati nelle strutture che non ospitano le comunità religiose, come case di cura, ospedali, centri parrocchiali e/o socio-pastorali, ecc…
- coordinate iniziative in sinergia con i vostri superiori maggiori, con la chiesa locale, con l’amministrazione governativa locale e con l’ufficio di comunicazione del Governo Generale dell’Ordine;
- le Province e le Delegazioni che non sono direttamente coinvolte da questa crisi, sono incoraggiate ad aiutare le iniziative dei nostri Confratelli in luoghi diversi attraverso la preghiera, il sostegno economico, il supporto concreto di religiosi, dove sia possibile.
L’intercessione del nostro amato fondatore san Camillo de Lellis, la materna protezione di Maria Salute degli infermi e la benedizione di Dio Padre Onnipotente, possano ispirare tutti noi per discernere attentamente i segni dei tempi e per agire di conseguenza nel rispetto di queste famiglie in fuga, offrendo loro sostegno e dignità.
Roma, 1 ottobre 2015
Leocir Pessini
Superiore Generale
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Aristelo Miranda
Consultore per il Ministero
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