di Luca Perletti
Breve storia
La storia delle Cure Palliative in Italia è piuttosto recente, vittima – probabilmente – del sentimento di onnipotenza della medicina, il cui obiettivo è la sconfitta della malattia e di pregiudizi culturali, quali la resistenza a trattare del tema di fine vita e della morte. Mentre nel nord Europa si andavano diffondendo gli Hospice, lo stesso modello culturale e filosofico veniva ritenuto improponibile e impraticabile nel bacino mediterraneo. È solo a partire dall’ultima decade del secolo scorso che le cure palliative iniziano a ricevere riconoscimento istituzionale da parte del Governo italiano, contribuendo così a far conoscere all’opinione pubblica le Cure Palliative. Nel 2010, i tempi sono maturi per il riconoscimento delle Cure palliative. Con la legge 38/2010 del 15 marzo 2010, infatti, si sancisce il diritto del cittadino a accedere alle Cure Palliative e alla terapia del dolore nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza.
Elementi di novità
Al cuore delle Cure Palliative stanno il malato e la sua famiglia, considerati come una unità indivisibile: la malattia colpisce la persona malata senza risparmiare la sua famiglia, che ne porta il peso attraverso una indicibile sofferenza. Fin dalle prime battute del dettato legislativo si avverte uno spostamento dalla meccanicistica fisiopatologica verso la comprensione della malattia quale evento capace di destabilizzare il sistema umano. In questo quadro di riferimento, la cura non può che essere individuale, attenta alla persona prima che alle manifestazioni cliniche.
Le Cure Palliative mirano a promuovere la qualità della vita – e non una morte accelerata o indolore – fino a che la natura non abbia fatto il suo corso. La legge afferma che la vita continua anche quando una malattia a esito infausto sembra decretarne la mancanza di senso, l’inutilità. L’enfasi è posta sulla qualità di vita, il vero oggetto delle Cure Palliative, e non sulla guarigione dalla malattia. In questo contesto, il malato recupera il protagonismo per le scelte che lo riguardano, nel rispetto della sua autonomia e dignità. La salute non è delegata al sapere medico ma costruita attorno a decisioni condivise tra i curanti ed il malato o altri cui egli abbia dato procura.
La cura assicurata dal decreto istituzionale delle Cure Palliative è totale e attiva. Risuona nel testo – come una eco – la considerazione che la persona è un unicum, una unità di fisico, psichico, sociale e spirituale dove la malattia – ancorché deturpi il corpo ed il suo regolare funzionamento – infligge ferite e lacerazioni agli altri livelli. Sembra una risposta all’istanza di nuovo umanesimo tanto da parte del legislatore quanto da parte del mondo ospedaliero che, di solito, ha una mentalità parcellare. Non si tratta di una riduzione degli obiettivi medici – resi impotenti dall’inarrestabile evoluzione della malattia – ma della comprensione che è tutto il corpo umano che soffre e che – anche se la malattia non può essere debellata – c’è ancora spazio di cura.
La Legge introduce e sancisce il sistema a rete dei vari attori coinvolti nella offerta di cura e di assistenza al fine di assicurare una continuità della stessa pur in ambiti diversi. Della rete fanno parte non solo le strutture ospedaliere, ma anche il domicilio attraverso l’assistenza domiciliare; le strutture specializzate alla cura residenziale quali l’Hospice; il day Hospice per le prestazioni assistenziali che non sono attuabili a domicilio e l’assistenza specialistica di terapia del dolore.
In vista delle resistenze culturali, la Legge prevede l‘attuazione – nel primo triennio dalla sua entrata in vigore – di adeguate campagne stampa o altre forme di sensibilizzazione il cui obiettivo è di far maturare la consapevolezza della rilevanza delle Cure Palliative e di superare il pregiudizio (ancora molto forte) sull’utilizzo dei farmaci (oppioidi) usati per il trattamento del dolore. Dandone per scontate le finalità assistenziali, l’introduzione delle Cure Palliative perseguono anche un fine formativo ed educativo, contribuendo alla diffusione di una cultura della vita, anche quando questa è segnata dal limite e dalla terminalità.
A significare l’elevata competenza clinica e scientificità specifica delle Cure Palliative, la Legge prevede anche periodi di formazione delle figure professionali. La formazione si realizza attraverso il conseguimento di crediti formativi su percorsi multidisciplinari e multiprofessionali, affidati a società scientifiche e a enti no profit con esperienza nel settore. Non solo le figure professionali deputate all’assistenza ma anche i volontari devono qualificare la propria attività attraverso mirati processi di formazione, garantendo così alta qualità ai servizi assistenziali erogati.
Infine, per facilitare l’accesso ai farmaci stupefacenti usati nella cura del dolore e del dolore severo in particolare, la Legge modifica ed aggiorna la legislazione precedente in materia di stupefacenti consentendone la procura e l’uso per le prioritarie esigenze terapeutiche nei confronti del dolore severo.
A mo’ di conclusione
Questa legge – ancorché normativa della disciplina in materia di Cure Palliative – proietta un radicale cambiamento culturale, nel riconoscimento e nell’accettazione del dolore quale componente e limite dell’essere umano, e mira alla creazione di un contesto di reti di collaborazione per la soppressione e il controllo del dolore e della sofferenza, spesso subdola e invisibile.
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