di p. Corghi Roberto
Premetto che la Festa abbiamo dedicato a san Camillo quest’anno deve averlo davvero soddisfatto nel vederci esaudire un desiderio che gli stava a cuore e che aveva espresso nella sua Lettera Testamentaria dove, rivolgendosi anche a noi, scriveva: “Non voglio tralasciare di ricordare a tutti i presenti e futuri che desideriamo che il servizio ai poveri infermi nell’Ospedale – nostro fine principale – e nella raccomandazione delle anime persista e duri per sempre…”. Si tratta di quella particolare attenzione all’assistenza dei malati gravi e dei morenti (detti impropriamente anche terminali), gli ultimi fra i più poveri che la Provvidenza ha voluto affidare a noi. E accanto a lui, ne sarà stato contento anche il beato P. Rebuschini che ha condiviso i desideri del Fondatore e li vede attuarsi anche in questa “sua” e nostra Clinica. Vediamone il perché.
Il sabato 14 luglio, ricorrenza del nostro Fondatore, insieme al Personale, Degenti e Fedeli che frequentano la nostra Chiesa, la Comunità ha celebrato con la consueta solennità la sua Festa. Il momento più intenso è stato certamente la celebrazione dell’Eucaristia, introdotta dal saluto del Superiore, Padre Bebber, e presieduta da mons. Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona. Immancabili, le presenze del Coro e dei Volontari della Casa che hanno accompagnato la liturgia rendendola solenne, decorosa e partecipata. Tra i fedeli si notavano anche alcune sorelle della vicina Clinica delle Figlie di san Camillo.
Nel saluto iniziale il Superiore ha ringraziato il Vescovo e le Autorità civili e militari per aver accolto l’invito e ha annunciato l’inaugurazione del nuovo Reparto Cure Palliative che avrebbe seguito la celebrazione. All’omelia, il Vescovo, commentando la parabola del Buon Samaritano, ha ricordato l’incarico di Maestro di Casa ricoperto da san Camillo e l’ispirazione, nei giorni dell’Assunta, a raccogliere attorno a sé i suoi primi compagni. E’ poi passato alla sua attività di Fondatore e alla dedizione ai malati che ha saputo suscitare nella Chiesa e nella società. “Un’assistenza sanitaria – ha concluso il Vescovo – che anche quando è svolta come professione è sempre una missione che deve essere compiuta con “attenzione amorevole”, mai schiava di una tecnologia medica disumanizzante ma di ausilio alla vita e al malato.”
Ci siamo poi recati nella Clinica dove ha avuto luogo l’inaugurazione dei nuovi ambienti dell’Hospice per le Cure Palliative predisposti per l’assistenza di malati oncologici. Ha eseguito il tradizionale taglio del nastro lo stesso Vescovo, presenti le Autorita civili e sanitarie, ma soprattutto, visibilmente commossi, il dott. Massimo Damini, responsabile del’Hospice, il dott. Luani e il Personale del Reparto che da anni si dedica già a questo servizio tanto necessario nel territorio e apprezzato dalle autorità sanitarie L’inaugurazione dell’Hospice ha così aggiunto alla Festa il significato della presenza camilliana nell’assistenza ai malati gravi e morenti che tanto premeva alla carità instancabile del nostro Fondatore. Lo ha spiegato bene il Superiore presentando i nuovi ambienti e i servizi ai quali l’Hospice è stato abilitato: “E’ uno spazio in cui sono state allocate 13 stanze singole a cui fanno da corollario i vari servizi necessari per un reparto ospedaliero. Si è voluto ricreare anche uno spazio famigliare, di casa, è il locale tisaneria, luogo di incontro ma anche dove si possono recuperare gesti e momenti usuali di una famiglia. E’ stato uno sforzo economico importante da parte della Comunità religiosa e della Fondazione Opera San Camillo in particolare, il tutto guidato dalla carità, da quel tanto cuore che deve guidare le mani di coloro che saranno chiamati a servire ed accompagnare questi nostri fratelli.” Durante il rinfresco che è seguito, gli invitati hanno potuto incontrare personalmente P. Bebber anche in qualità di Presidente dell’ARIS ed essere aggiornati sulle strutture sanitarie cattoliche sparse un po’ in tutta l’Italia.
Certo, l’espressione “cure palliative” a san Camillo non direbbe un gran che, ma se gliene spiegassimo i contenuti, o meglio ancora, se ci vedesse all’opera, non tarderebbe a vedervi realizzate le raccomandazioni ripetute anche nelle Regole che aveva scritto alla Ca’ Granda: “Appena entrato in corsia, ognuno servirà gli infermi con carità e umiltà, li conforterà con parole amabili e caritatevoli, e visiterà spesso quelli più aggravati”. “Quando ci saranno dei morenti, i religiosi non mancheranno di dare loro l’aiuto di cui hanno bisogno e li assisteranno senza sosta, avvicendandosi”. “Quando c’è qualche morente, ci si intrattenga accanto a lui”. Sono indicazioni più che mai attuali delle quali le cure palliative vogliono essere uno sviluppo nella fedeltà, che non ha nulla a che fare – mi si permetta il confronto – con gli ambigui “nuovi paradigmi interpretativi” che si stanno facendo strada nella Chiesa e che finiscono col ritenere superati perfino i Santi. Come sta avvenendo al magistero di Paolo VI e Giovanni Paolo II, ad esempio. Volendo infine presentare le caratteristiche delle Cure Palliative, le riassumiamo in queste poche parole: “Dalla parola latina “pallium”, mantello, e perciò “protezione”, le Cure palliative si definiscono come il sostegno offerto al malato la cui patologia è caratterizzata da un’evoluzione con prognosi infausta e non più rispondente ai trattamenti specifici. Esse si propongono di migliorarne il più possibile la qualità di vita, nel rispetto della sua evoluzione naturale, e comprendono l’insieme dell’approccio umano, intervento diagnostico e terapeutico, accompagnamento psicologico e spirituale del malato e dei suoi famigliari”.
Ecco così spiegato, spero a sufficienza, il segreto della soddisfazione di san Camillo e del beato Padre Enrico a cui ho accennato nella premessa. Una soddisfazione per loro, ma con loro, anche nostra.
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