Questa notte da ogni altare, la Chiesa ha gridato al mondo la notizia più sorprendente, più consolante, più rinnovatrice della storia: Cristo Signore è risorto!
La Pasqua è un aggrapparsi a Cristo che risorge e sale.
Nel cuore della notte che è appena trascorsa, nelle chiese di tutto il mondo è stata data una grande notizia: Il Signore Gesù è risorto!
Non è una novità, potrà dire qualcuno. Ed è vero: sono più di diciannove secoli che viene annunciata. Mentre però tutte le altre “novità” si sono disseccate come le foglie in autunno, questa emoziona ancora i nostri cuori: è sempre fresca e giovane, più fresca e più giovane delle molte notizie inutili di cui è pieno anche il giornale di questa mattina.
Cerchiamo di capire bene che cosa è capitato.
Il mondo, creato bello e buono da Dio, si è guastato: adesso noi viviamo in un mondo, come dice San Paolo nella Lettera ai Romani, senza senno, senza lealtà, senza amore, senza misericordia (Rm 1,31). Mai come ai nostri tempi questo duro giudizio ci pare colpire nel segno. I contestatori e i rivoluzionari di ogni epoca non fanno una grande scoperta quando ci dicono che è un mondo sbagliato; e quando decidono di distruggerlo non sono privi di logica; desiderano solo una cosa inutile, perché questo mondo nel disegno di Dio è già destinato alla distruzione, come una casaccia lurida e diroccata è destinata alla demolizione nel piano regolatore. Ma non devono distruggerlo gli uomini: quando lo fanno, nasce regolarmente un mondo più brutto e più ingiusto di prima. Il mondo aspetta l’ora del Signore, quando, come scrive san Pietro, i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno e ci saranno nuovi cieli e nuova terra, dove finalmente abiterà la giustizia (cfr. 2 Pt 3,12.13).
Ma noi, che ne sarà di noi? Ci potremo salvare?
Sì, ci possiamo salvare perché Dio ha mandato nel mondo il Figlio suo, nato da donna, come noi, nato schiavo, come noi, il quale ci ha liberato e ci ha dato la possibilità di diventare figli di Dio.
Che cosa dunque è avvenuto venti secoli fa di tanto importante, che noi lo ricordiamo ancora oggi come qualcosa che ci tocca da vicino?
Gesù ce lo ha detto con parole semplici ed essenziali, che l’evangelista Giovanni riferisce nei discorsi dell’ultima cena: “Io sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e torno al Padre” (Gv 16,28).
La Pasqua è questa “avventura” terrestre del Figlio di Dio, che discese dal cielo, in questo mondo ingiusto e polveroso, e con la sua morte e la sua risurrezione tornò in cielo, portandosi con sé quelli che credono in lui.
Allora si capisce come si deve fare per salvarci dalla distruzione che toccherà al mondo (e che per ciascuno di noi, in pratica, coinciderà col momento della nostra morte): ci si deve aggrappare a Cristo che passa da questo mondo al Padre. Questa è la Pasqua, che significa appunto “passaggio”.
Allora si capisce perché noi oggi siamo contenti e questa è la più grande festa cristiana: è la gioia di chi stava per annegare e si vede gettare una corda alla quale potrà finalmente attaccarsi.
Ma come si fa ad aggrapparsi a Gesù che risorge da morte e sale al cielo, in modo da poter salire con lui, e non essere travolti nella rovina del mondo?
“Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso. All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,36-38).
Gesù ci risponde: prima di tutto, pentitevi, cioè, riconoscete i vostri torti e decidete di cambiare. Chiamate i vostri vizi col loro nome e non mascherateli agli occhi vostri e degli altri indicandoli con le parole della virtù.
Se siete pigri, non chiamatevi prudenti; dite: io sono pigro e devo cambiare.
Se siete superbi, non dite di avere il senso della vostra dignità: riconoscete di essere egoisti e orgogliosi, e cercate di umiliarvi.
Così ci parla il nostro Signore e Maestro, con la franchezza di chi ci vuol bene davvero e davvero desidera che abbiamo a crescere e a vivere.
Certo l’autentico pentimento è un fatto raro. Un uomo che riconosca i suoi torti è la cosa che più grande e più difficile che si dia al mondo.
È difficile: un uomo non s’infuria tanto con la propria moglie come quando gli ha fatto un’osservazione giusta e meritata.
Ma è la cosa più grande: è la stessa risurrezione di Gesù che arriva fino all’anima nostra e ci fa passare con lui dalla morte alla vita.
Ma non basta pentirsi; se vogliamo aggrapparci a Gesù che risorge e sale al cielo, dobbiamo unirci a lui nel sacramento dell’Eucaristia.
Per questo la Chiesa dispone che tutti i cristiani, proprio in questi giorni pasquali, facciano la comunione; per questo “fare Pasqua” significa, nel linguaggio tradizionale, accostarsi alla mensa eucaristica. Perché soltanto in questo modo noi siamo sicuri di essere uniti a colui che è la nostra salvezza e resterà la nostra unica speranza quando nessuna speranza umana ci sarà più per noi.
Se riconosciamo i nostri torti in faccia a Dio e alla sua Chiesa nel sacramento della penitenza e se ci accostiamo al sacramento dell’Eucaristia, allora l’annuncio della vittoria di Cristo sarà anche l’annuncio della nostra vittoria.
E la grande notizia, risonata stanotte in tutte le chiese, sarà nella nostra coscienza completata così: “Il Signore Gesù è risorto, e io sono risorto con lui!”.
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