Tratto da Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Santi della Misericordia, 2015
Che la misericordia ci dia uno sguardo simile a quello di Cristo che, a sua volta, ha incarnato la maniera con cui il Padre guarda ciascun uomo, dipende dal fatto che Gesù sia contemplato per primo, con un’intensità spinta fino all’immedesimazione.
Altrimenti non si potrebbe davvero spiegare la maniera d’agire di San Camillo de Lellis, il quale non solo pretendeva il meglio per i suoi malati, fino a voler gestire l’intero ospedale, ma esigeva anzitutto – da sé e dai suoi collaboratori – la tenerezza.
Ogni malato era da lui personalmente ricevuto alla porta dall’ospedale e abbracciato; gli venivano lavati e baciati i piedi; poi veniva spogliato dei suoi stracci, rivestito di biancheria pulita e sistemato in un letto ben rifatto. Camillo voleva persone che lo aiutassero «non per mercede, ma volontariamente e per amore d’Iddio servissero i malati con quell’amorevolezza che sogliono fare le madri verso i propri figli infermi». I suoi collaboratori lo osservavano per imparare: «Quando egli prendeva un malato in braccio per mutargli le lenzuola, lo faceva con tanto affetto e diligenza che pareva maneggiare la persona stessa di Gesù Cristo».
A volte egli gridava ai suoi collaboratori: «Più cuore, voglio vedere più affetto materno”». Oppure: «Più anima nelle mani!». Camillo non temeva di pulire a mani nudi i volti dei malati divorati dal cancro, e poi li baciava, spiegando ai presenti che «i poveri infermi sono pupilla e cuore di Dio e perciò quello che si faceva ai poverelli era fatto allo stesso Dio».
Che i malati fossero per lui un prolungamento dell’umanità sofferente di Cristo, lo si vedeva anche da certi atteggiamenti che assumeva a volte, quasi senza accorgersene. Racconta un suo biografo: «Una notte lo videro stare inginocchiato vicino a un povero infermo che aveva un così pestifero e puzzolente cancro in bocca, che non era possibile tollerare tanto fetore. E con tutto ciò Camillo gli parlava standogli vicinissimo, «fiato a fiato», e gli diceva parole di tanto affetto, che pareva fosse impazzito dall’amor suo, chiamandolo particolarmente: «Signor mio, anima mia, che posso i fare per vostro servigio?», pensando egli che fosse l’amato suo Signore Gesù Cristo…». Un altro testimone arrivò a dire: «L’ho visto più volte piangere per la veemente commozione che nel poverello fosse Cristo, cosicché adorava l’infermo come la persona del Signore». Le espressioni possono sembrare esagerate, ma non era certo esagerata l’impressione che Camillo lasciava a chi l’osservava: tra la misericordia fattiva verso il prossimo bisognoso e la tenerezza per la persona stessa di Cristo, egli non lasciava sussistere nessun divario, tanto che si spingeva al punto di raccontare piangendo a qualche malato i peccati della sua vita passata, convinto di parlarne proprio col suo Gesù. Nei suoi occhi e nel suo cuore Gesù non diventava mai un ideale, un valore, una causa, o un motivo d’azione: era e restava una Presenza adorabile e adorata.
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