La speranza che Germana ci ha testimoniato non è solo o tanto un sentimento umano, un auspicio passeggero, ma è un «persona», è Cristo: Cristo Speranza, Cristo ieri oggi e sempre. Cristo Speranza è stato il programma di Germana, Cristo Speranza è la sua eredità.
Ma questo messaggio non è legato a un ideale o a una dottrina astratta. Come si è incarnato in una persona, cosi noi lo rivediamo in una figura precisa, nell’immagine di lei, di una donna concreta, vivace, appassionata, creativa, animatrice con la parola e le opere, forte e dolce, docile e decisa, aristocratica di sangue ma umile di spirito e nel tratto con tutti; per poi rievocarla nella sua «passione», nelle tappe della sua lunga «Via Crucis» finale, contrassegnata ancora dalla speranaz e dalla preghiera che Cristo ripeteva: «Padre, sia fatta la tua volontà; Padre, nelle tue mani affido il mio spirito».
Non è un’ipotesi, questa. L’ultima volta che le ho fatto visita meno di un mese fa, mentre tentavo di comunicare con lei, informandola che quel giorno avevo ricevuto il libro che traduceva in malgascio una sua biografia di San Camillo, p. Enos Fozzati mi mise in mano un cartoncino scritto da Germana. In rosso, a mo’ di didascalia, si diceva: «quando sarò in fin di vita, leggetemi di frequente la seguente preghiera». E in blu era vergato il testo: «Ricevi, o mio Dio, tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza, tutti gli affetti del mio cuore. Tutto ciò che ho e possiedo, tutto ho ricevuto da te; ecco che tutto ti restituisco e metto a disposizione della tua Volontà. Dammi solo il tuo amore e la tua grazie e sono ricco abbastanza, e non domando altra cosa». Non è originale – cioè di Germana questa preghiera. Deve essere di S. Ignazio di Loyola e la si recitava una volta come ringraziamento della Comunione. Ma è significativo che lei l’abbia fatta sua in modo speciale, e di suo ha aggiunto qualche variazione finale, che ora non ho sotto gli occhi, ma in cui si definiva una povera o qualsiasi «donniciola» senza meriti.
Viene in mente San Camillo che sul letto della sua agonia chiese a un amico pittore di dipingergli un quadro del Crocifisso da tenere davanti al letto e davanti agli occhi. «Ma ci metta molto, molto sangue, che scenda dalle piaghe di Gesù, perché soltanto nel sangue di Cristo ho fiducia e speranza di salvarmi». San Camillo. Non posso pensare a Germana senza pensare a San Camillo, ai suoi «tanti» San Camillo, alle sue numerose biografie del Santo.
E prima ancora alla sua folgorazione, quando a diciotto anni si è imbattuta nella «Vita di San Camillo» di p. Mario Vanti. «Fu un impatto sconvolgente che ha determinato la mia vita», ha scritto spesso. Un innamoramento a colpo di fulmine, ci vien da dire, ma non certo passeggero.
È come quando ci prende un pensiero dominante, quasi ossessivo, che si ha bisogno di rimuginare ed esprimere, e non si è mai contenti di averlo manifestato in tutte le sue sfaccettature.
Perciò eccola, Germana, a riscrivere la vita di questo «Gigante» come la sentiva lei. Una volta, due volte, tre, quattro e più ancora.
Eccola andare a frugare e rivedere gli «scritti» di lui, per decifrarli, per commentali, per trascriverli in lingua corrente e comprensibile alle orecchie di oggi.
«Scrive come uno zulù», diceva un giorno mentre stava facendo questo lavoro assieme con p. Vezzani e le riportai il primo dattiloscritto, all’Istituto Perini di Rho dov’era ricoverata; ma lei per prima era convinta che sotto le scorie c’era «tutto oro» da ricuperare.
Per le San Camillo è stato una «presenza» unica e imperativa. Soprattutto una presenza esemplare, alla quale cioè si richiamava ogni volta per orientare le sue idee, le sue iniziative, le sue prospettive.
Non vado ora a ricuperare i libri e pubblicazioni. Ce ne sono a non finire.
Vado solo con la memoria a rintracciare alcuni titoli, di scritti che hanno accompagnato la mia vita camilliana (come di tanti altri confratelli) da quand’ero ragazzo a questi anni.
«Pagine vive di un santo vivo». «Contestatore, riformatore, santo». «Un messaggio di misericordia».
Germana, innanzitutto, s’è accorta di essersi imbattuta in un santo «vivo». Vivo nel senso più ovvio del termini. Vivo e vivace nel ‘500. Vivo e vitale oggi.
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